di Adriano Del Fabro
Il caso del vino Terrano, è sotto la lente d’ingrandimento della politica regionale. Dopo alcuni anni di prese di posizione e di fughe in avanti di Croazia e Slovenia che rivendicano la paternità di quello che i giuliani considerano un loro vino autoctono, ora è partita dal Mipaaf una nota formale indirizzata alla Regione Fvg sollecitando il cambio del nome. La lettera è firmata da Emilio Gatto, dirigente ministeriale, che cita l’articolo 100 par. 3 del Registro Ue spiegando che l’Italia, in presenza della Dop “Teran” (su cui ha puntato la Slovenia in funzione anti-Croazia, ma con effetti che ricadono ora anche sul Fvg), “non può legittimamente prevedere che il vitigno Terrano possa essere utilizzato per qualificare taluni vini Dop o Igp”. Per questo la Regione è invitata a consultare i produttori del Carso in modo da consentire loro di “effettuare la scelta più appropriata” per sostituire il nome in etichetta.
Una sollecitazione piombata come un fulmine a ciel sereno nel cuore della politica regionale ed europea e degli operatori del settore. Paolo De Castro, a esempio, membro della Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale del Parlamento europeo dice: «Avevo già incontrato europarlamentari sloveni, e pure croati, concordando su una via praticabile, una Doc transfrontaliera che potesse chiudere la vicenda senza vincitori e vinti».
Una Doc transfrontaliera?
«Il Terrano è figlio della terra e della pietra del Carso italiano e del Kras sloveno: sarebbe sinceramente assurdo che lo stesso vino prodotto sulla stessa terra dovesse avere due nomi diversi in omaggio a un confine che non esiste più». Afferma l’assessore regionale alle Risorse agricole del Fvg, Cristiano Shaurli, commentando la nota del Mipaaf relativa all’adeguamento dei disciplinari di produzione per sostituire il nome delle tipologie denominate “Terrano”, a seguito della prossima pubblicazione da parte della Commissione europea della lista delle varietà delle uve da vino e dei sinonimi ammessi alla coltivazione in tutti gli Stati membri. Per Shaurli: «Prima di mettersi in difesa bisogna essere attaccati e, per ora, siamo di fronte a un automatismo europeo che ci riguarda, per una Dop slovena del 2004 (quindi non una Doc legata strettamente al vino) che ha delle ricadute su un nostro vitigno inserito nella Doc molto tempo prima. Ciò è dovuto anche per contenziosi internazionali che ci toccano di riflesso. Sono convinto che, se c’è la volontà di entrambe le parti, si possano intanto trovare soluzioni temporanee per tutelare ora il Terrano della nostra regione, ma nel frattempo traguardare obiettivi più ambiziosi e lungimiranti, anche in considerazione delle (scarse) quantità di vino Terrano prodotto complessivamente. Una Doc internazionale potrebbe aiutare a mettere in sinergia le forze e – ha concluso l’assessore – sarebbe un segnale importante di collaborazione e fiducia verso un’Europa concreta».
Le origini di una (non) disputa
La disputa sull’esclusività dell’uso del nome “Teran” per l’omonimo vino è iniziata due anni fa, quando la Slovenia cercò di impedirne l’utilizzo ai produttori croati. In quell’occasione fu il viticoltore e presidente di “Vinistra”, Associazione di viticoltori e produttori di vino dell’Istria, Ivica Matoševic ad andare in prima linea. A molti sembra paradossale che ora venga chiamata in causa anche l’Italia, perché sull’uguaglianza del vitigno Terrano o Teran non ci sono mai stati dubbi, né prima della guerra 1914-1918, quando Istria, Carso e Gorizia furono tutte Impero Austro-Ungarico, né dopo, quando sono state Regno d’Italia. A cominciare da una rivista triestina del 1868, in cui compare un articolo dal titolo “Un’escursione a Capodistria” nel quale si scrive: “Le varietà migliori di uve nere sono: il celebre refosco, il terrano…”. Nello stesso numero si trova un articolo sul “Territorio di Trieste” dove vi si può leggere: “le nostre regioni possiedono delle eccellenti varietà di uve, come tra le altre, il refosco, il terrano…”. Anche sul periodico della Società Agraria di Trieste “L’amico dei campi”, del 1882, è pubblicata una tabella con le varietà indigene del territorio triestino e istriano, fra cui Terrano nero a graspo rosso e Terrano di Canfanaro. Alla Fiera dei vini di Trieste, del 1888, quasi tutti i produttori dell’Istria portarono campioni di Terrano: da Parenzo, Dignano, Verteneglio, Visignano, Capodistria, San Vincenti, Pola, Decani, Cherso, Montona e da Grisignana. Ma anche da Sagrado, Duino e da Tomai. Poi, al IV Congresso enologico austriaco, svoltosi a Gorizia nel 1891, lo scienziato Giovanni Bolle, nella sua relazione sui vitigni autoctoni a bacca rossa, inserisce il Terrano. Nel 1910, M. Ritter edita a Gorizia una pubblicazione contenente un vero e proprio inno al Terrano del Carso. Così, nel 1923, nella “Ampelografia del Friuli”, Norberto Marzotto cita più volte la varietà Refosco d’Istria come sinonimo di Terrano. La vicinanza tra le due varietà è stata confermata pure, nel 2004, dalle analisi del Dna svolte dall’Istituto sperimentale per la viticoltura di Conegliano Veneto (Treviso) che hanno confermato un’elevata similarità genetica tra il Refosco dal peduncolo rosso e il Terrano.
Lo scrittore sloveno, Janez Valvasor, nel 1689, cita il Terant e Matija Vertovc in “Vinoreja za Slovence”, edito nel 1844 a Lubiana, lo dice presente pure a Trieste. Infine, significativa è “L’ode al Terrano” di Silvio Benco (1941), che fa capire come questo vitigno e questo vino siano sempre stati prodotti dal Carso goriziano all’Istria meridionale senza primogeniture di alcuno. Una conferma recente della ristrettezza dell’areale di coltivazione del Terrano, viene da Francesco Del Zan, curatore del volume “La vite e l’uomo. Dal rompicapo delle origini al salvataggio delle reliquie”, edito dall’Ersa Fvg, nel 2004, dove si esprime così: «Questa varietà, che ha sempre rappresentato per l’Istria e per le zone carsiche del Friuli, un vitigno di fondamentale interesse, non trova spazio al di fuori di tale areale».