Lo avevamo preannunciato, prima o poi la questione delle Igp e di alcune pratiche produttive fuori zona sarebbe venuta al pettine. Con la Commissione europea che – regolamenti alla mano – non poteva far altro che dire che tutto quello che sta prima dell’imbottigliamento (e quindi anche il taglio) deve essere fatto nella zona di vinificazione delle uve. E infatti, come si legge nella nota redatta dal nostro Ufficio tecnico-giuridico, l’Europa è fin troppo chiara, mettendo con le spalle al muro il nostro Paese, con tutte le sue contraddizioni legislative e i tentennamenti sull’adeguarsi a un vento che (dal 2009) stava andando nella direzione opposta alla nostra.
Ora, ci troviamo di fronte a una sorta di cataclisma. Ci sono centinaia (forse qualche migliaio) di aziende che fino a ieri acquistavano un vino Igp nella zona di produzione, se lo portavano in cantina, lo tagliavano con un 15% di un altro vino di diversa origine, mantenendo il nome della indicazione geografica e – se era specificato – quello del vitigno/vitigni in etichetta. Oppure quelle che assemblavano partite di tipologie diverse (esempio di differenti vitigni) e che oggi non possono più fare neanche questo.
Se la situazione è questa, da oggi, anzi da ieri, le strade sono poche. Si potrebbe chiedere al proprio fornitore di tagliare a monte, ma per come funzionano le dinamiche commerciali oggi è una pia illusione, visto che si opera spesso just in time, oppure si rinuncia del tutto a tagliare. Ma anche qui, come si fa a spiegare al proprio importatore che quel vino che producevo fino a ieri, con certe caratteristiche chimico-organolettiche e nelle quantità previste da contratti magari già in essere, non sono più in grado di fornirlo? Il cliente si accontenterà di qualcos’altro?
Alternative? A oggi zero, nel senso che – e qui veniamo alle contraddizioni delle nostre leggi nazionali – essendoci preclusi la possibilità di utilizzare i vini varietali, non abbiamo nessuna chanche di bypassare questa norma comunitaria, che ad altri Paesi scorre via come nulla. Francia e Spagna, come abbiamo più volte ricordato sulle pagine del nostro giornale, sciorinando i numeri e le strategie di questi Paesi, non si sono autoblindati i vitigni, per cui possono utilizzare Tempranillo e Chardonnay ovunque. Cosa che puntualmente stanno facendo ormai dal 2009 (si vedano qui gli ultimi dati export dei varietali).
Verso la guerra
L’Italia? L’Italia no, perché i vitigni (caso unico in Europa) li ha “blindati“ nelle denominazioni di origine, e quando si è trovata a dover fare la lista dei varietali, togli questo e togli quell’altro, è rimasta con un pugno di uve, sette e tutte francesi o internazionali, che ci mettono in concorrenza con il mondo. Oggi questa non scelta (ancor più contraddittoria se pensiamo al fatto che sugli spumanti la lista positiva è lunghissima e non si capisce perché non si possa fare altrettanto almeno per i frizzanti) ci troviamo a pagarla cara. Ma soprattutto ci mette di fronte alla necessità di rimettere mano alla normativa in fretta e furia.
Già vediamo il riaccendersi dei fuochi, le barricate: da una parte gli oltranzisti, quelli che il vitigno è solo di chi ce l’ha sotto casa, anche se si chiama Barbera, Montepulciano o Sangiovese, anche se lo utilizzano in tutto il mondo. Dall’altra parte quelli che – orfani delle Igp senza più taglio – chiederanno a gran voce di mettere nella lista positiva il numero maggiore possibile di vitigni, almeno quelli di grande produzione o che fino a ieri comunque avevano un mercato.
La partita è delicatissima e anche se il tempo stringe, speriamo che si ragioni con il cervello, anche perché il sistema dei controlli che sta mettendo a posto le Igp potrebbe essere di grande aiuto nel fugare i dubbi di coloro che hanno sempre opposto la certezza che il varietale spalanchi praterie a chi vuol fare il furbo.
2013, punto di non ritorno
Al di là di quello che succederà, crediamo che l’anno 2013 segni comunque una svolta epocale per il nostro Paese: se vincerà il partito dei puristi del vitigno, si assisterà – forzatamente o meno – a una trasmigrazione di massa degli imbottigliatori verso qualcosa di diverso, ancora non identificabile; non remota potrebbe essere la possibilità che si vada pure all’estero per procacciarsi il vino. Se vinceranno i “varietalisti”, tutto quello che oggi viene targato Igp presumibilmente verrà travasato verso quei vini varietali che saranno stati messi nella lista positiva.
In entrambi i casi, i vini Igp – verso cui negli ultimi 20 anni molti, moltissimi produttori sono “scesi” per scappare dalle farraginosità crescenti delle Dop – sono destinati a ridimensionarsi, se non addirittura a estinguersi in qualche caso.
Il discorso coinvolge in parte anche le Dop: se vincerà il partito del varietale, alcune di esse potrebbero svuotarsi di contenuto, specie quelle che oggi, più che dal mercato, sono tenute in piedi dalle limitazioni imposte agli altri.
Sulla testa, poi, c’è – come abbiamo più volte sottolineato – la mannaia di quella intenzione della Commissione di forzare la mano sui varietali, ovvero di modificare la legislazione e aprire tout-court a tutti i vitigni, che siano o no presenti in Dop. Un’intenzione dichiarata a dicembre dell’anno scorso nella comunicazione al Consiglio sullo stato d’avanzamento dell’Ocm, in cui si additava – senza nominarla – l’Italia come Paese recalcitrante a sviluppare questa categoria di vini nascondendosi dietro la scusa delle Dop. “La legislazione delle Dop sull’etichettatura –scriveva Bruxelles – mostra alcune incoerenze nella parte che riguarda l’uso dei vitigni. Incoerenze che verranno risolte modificando le norme che regolano i varietali”. L’occasione della riforma Pac, per chi ha di questi intenti, è assai preziosa.