Quanti sono e chi sono i deputati e senatori che nell’ultima legislatura si sono occupati di vino? E come lo hanno fatto? A queste domande diamo una (parziale) risposta con questa inchiesta, attraverso la quale abbiamo scartabellato negli archivi del Parlamento alla ricerca di progetti di legge, mozioni, interpellanze che hanno avuto come oggetto il vino, dando a ciascuna una paternità. Abbiamo così scoperto che sono una decina i parlamentari che si occupano con una certa regolarità del nostro prodotto, vuoi perché siedono nelle commissioni competenti, quelle dell’Agricoltura, vuoi perché hanno un background politico che li ha portati spesso e volentieri a contatto con il nostro settore. A questi si affiancano gli outsider, coloro i quali di vino si occupano accidentalmente, mossi a volte da suggerimenti o richieste specifiche d’intervento. Tra questi, poi, ve ne sono alcuni che in Parlamento si occupano un po’ di tutto, e a volte – la causa è tutta da scoprire – inciampano nel vino. Con esiti il più delle volte poco raccomandabili, quando non paradossali.
Ultimo in ordine di tempo l’articolo inserito nel decreto Sviluppo che vorrebbe le fascette elettroniche per tutto l’agroalimentare, partorito da un drappello di deputati leghisti e che se applicato così come è stato pensato creerebbe un non marginale aggravio di costi per le nostre aziende. L’iniziativa è stata comunque già oggetto di un’audizione presso la commissione Agricoltura della Camera, segno che comunque queste incursioni estemporanee non restano fini a se stesse, ma hanno l’effetto di innescare una sorta di domino: le preoccupazioni nella filiera, la richiesta di audizione, la mobilitazione delle commissioni e – se del caso – del governo.
Il decreto legge sulle fascette infatti è stato già oggetto di un’interrogazione al ministro Catania, firmata dall’onorevole Massimo Fiorio (Pd), segretario della Commissione Agricoltura, passato alle cronache per aver messo il dito nella piaga degli impianti abusivi e della multa milionaria inflitta dalla Commissione europea all’Italia. “Per i produttori dei circa 330 vini Doc italiani, che già assicurano una certificazione corretta e trasparente a tutela dei consumatori, si prospetta una vera e propria rivoluzione. Nuove regole il cui costo ricadrà sulle imprese e conseguentemente sui clienti. Le finalità generali del decreto-legge sono indirizzate alla tutela del made in Italy, soprattutto per contrastare il fenomeno delle contraffazioni alimentari, e nascono dal lodevole intento di difendere produttori e consumatori da un uso scorretto delle denominazioni. I contenuti di tale articolo non partono però dal presupposto che gli attuali controlli, nel settore vitivinicolo, sono già particolarmente elevati e che molti produttori di denominazioni a basso valore aggiunto già faticano a sostenere i costi (o a trasferirli al consumatore) dell’attuale sistema di verifica, su cui si è recentemente raggiunto un accordo di filiera che ha portato alla pubblicazione del decreto ministeriale 14 giugno 2012 sul piano dei controlli dei vini Dop e Igp. Attualmente – – prosegue Fiorio – i produttori di vini Igp ed anche numerosi produttori di vini Dop stanno optando per il numero di lotto perché le loro produzioni, soprattutto in questo periodo di crisi, non sembrano in grado di sopportare gli oneri che derivano dall’applicazione della fascetta del Poligrafico dello Stato (non si tratta del costo della fascetta, ma degli investimenti necessari per adattare le macchine per l’etichettatura). E’ quindi facile prevedere che l’obbligo di un sistema di controllo elettronico – che prevede dispositivi di rilevamento a distanza per tutti i prodotti del settore agroalimentari dotati di una denominazione o certificati come biologici realizzato dall’Istituto poligrafico statale – comporterebbe elevati costi per le aziende e per i produttori: costi difficilmente sostenibili dalle imprese a causa della attuale grave congiuntura economica. Alla luce della grave crisi economica ed occupazionale in atto sono invece auspicabili politiche di sostegno finanziario e fiscale, anche nel settore agricolo, per accompagnare quelle aziende che hanno deciso di investire in progetti di innovazione e che hanno l’obiettivo di ammodernare e riqualificare l’intero processo produttivo, migliorarne la qualità, ed elevarne redditività e competitività nei mercati internazionali”.
Ed ecco le richieste al ministro: “Si chiede quali siano gli orientamenti per definire modalità e contenuti del decreto ministeriale previsto dall’articolo 59-bis del decreto-legge n. 83 del 2012 del 7 agosto 2012; se ad oggi il ministro possa fornire informazioni circa la tempistica in cui verrà emanato il suddetto decreto e se verranno quindi rispettate le scadenze previste dall’articolo 59-bis del decreto-legge n. 83 del 2012; se il ministro, alla luce di quanto espresso in premessa, non ritenga utile al fine di promuovere una ampia condivisione dei contenuti del decreto ministeriale aprire in tempi brevi un tavolo di concertazione che preveda anche la presenza delle associazioni di categoria e dei consorzi di tutela interessati; se il ministro non ritenga altrettanto necessario, a causa della crisi economica congiunturale, prevedere l’introduzione di incentivi economici per sostenere le imprese vitivinicole nel perseguimento gli adempimenti richiesti dall’articolo 59-bis del decreto-legge n. 83 del 2012”.
Fiorio, torinese, è sicuramente uno dei più attenti osservatori delle cose vinicole, e dobbiamo dargli atto, leggendo le sue interpellanze e interventi, di una certa competenza nel settore. A volte eccede un po’ in presunzione e mostra un po’ di spocchia. Ad aprile ha chiesto al Governo se fosse a conoscenza del programma di lavoro del Gruppo d’alto livello sulla questione dei diritti d’impianto, visto che i giornali ne avevano dato notizia.
Più soldi per chi rinnova i vigneti
Competente in materia è sicuramente la sua collega di partito Susanna Cenni, ex assessore all’Agricoltura della Regione Toscana. La Cenni ultimamente ha chiesto al ministro Catania se non fosse il caso di aumentare il contributo dato alle ristrutturazioni vigneti: “Da uno studio effettuato recentemente dal Consorzio del Vino Chianti, che trova riscontro in alcune stime predisposte anche dalla regione Toscana, la realizzazione di un ettaro di vitigni di nuovo impianto costa almeno 40 mila euro. Si tratta di costi propedeutici a cui vanno aggiunte le spese necessarie che l’imprenditore deve poi sostenere per portare il terreno in regime di produttività. Infatti solitamente solo dal quarto anno si può procedere alla raccolta delle uve del nuovo impianto ed iniziare quindi ad ammortizzare l’investimento. E’ quindi stimabile, con una certa attendibilità, che prima di iniziare ad ottenere un introito finanziario dall’investimento realizzato, un imprenditore debba investire complessivamente almeno 50 mila euro ad ettaro. Per quanto riguarda l’applicazione della misura della riconversione e ristrutturazione dei vigneti, a decorrere dalla campagna 2011/2012 l’importo medio del sostegno ammissibile per ettaro viene fissato a 12.350 euro ad ettaro (13.500 euro nelle Regioni di convergenza). Appare evidente la necessità di rideterminare i livelli massimi di aiuto forfettario per ettaro adeguandoli in base a criteri oggettivi, quali l’aumento del costo del lavoro e degli altri fattori (citati precedentemente) che concorrono alla realizzazione dell’investimento”.
Poi le motivazioni della richiesta, riutilizzate pari pari dal collega di partito Fiorio per l’interrogazione prima esposta. “Alla luce della grave crisi economica ed occupazionale in atto sono auspicabili politiche di sostegno, anche nel settore agricolo, per accompagnare quelle aziende che hanno deciso di investire in progetti di innovazione che hanno l’obiettivo di ammodernare e riqualificare l’intero processo produttivo, migliorarne la qualità, ed elevarne redditività e competitività nei mercati internazionali, si chiede al ministro se non ritenga necessario, compatibilmente con le risorse economiche disponibili e con gli indirizzi comunitari, elevare gli attuali livelli massimi di aiuto forfettario per la riconversione e ristrutturazione dei vigneti, prevedendo al tempo stesso un finanziamento maggiore, rispetto alle aree pianeggianti, per i territori collinari o montani delimitati dall’articolo 15 della legge n. 984 del 1977. E se non ritenga utile, nel processo di discussione ed aggiornamento dell’Ocm vino che si terrà in sede comunitaria nel 2013, di farsi portavoce di una rimodulazione complessiva dei contributi previsti dall’Unione europea, adeguandoli in base ai complessivi e diversificati criteri oggettivi che concorrono alla realizzazione dell’investimento”.
Il settore sta per chiudere bottega
Un po’ più accalorati ed emozionali gli interventi di altri parlamentari. Uno di questi è Aldo Di Biagio, in quota Pdl, preoccupato della crisi in cui versa il settore, “gravato da forti criticità che rischiano di pregiudicarne in maniera definitiva la sopravvivenza. Criticità che si registrano nel settore in tutte le principali regioni produttrici, dal Piemonte alla Sicilia, sottolineando la necessità di elaborare un piano urgente di interventi a sostegno dei produttori vitivinicoli italiani. Un’elevata percentuale delle aziende vitivinicole italiane chiude da anni i bilanci in rosso, costretta a vendere, o meglio a svendere i propri prodotti a prezzi risibili: si pensi che solo in Piemonte, dove sono operative centinaia di aziende per una superficie vitata di 45.560 ettari, il vino Barbera viene svenduto al costo 30 centesimi al litro, un prezzo inferiore a quello dell’acqua minerale. L’impossibilità di coprire le spese, anche a fronte delle risorse erogate a diversi livelli, in sede nazionale ed europea, evidenzia la necessità di una rimodulazione e ripianificazione delle stesse anche nell’ottica di un consistente intervento strutturale del comparto. Gli interventi auspicabili, nella suindicata prospettiva, dovrebbero attuare misure di semplificazione fiscale e amministrativa – anche in relazione all’accesso al credito per le piccole aziende – oltre che di tutela delle aree a tradizione vitivinicola, attraverso incentivi specifici orientati al mantenimento di elevati standard qualitativi per la materia prima ed il prodotto finale. Sul piano fiscale sarebbe altresì auspicabile la predisposizione di un meccanismo di compensazione che, attraverso opportuni sgravi fiscali alle grandi aziende, incentivi l’acquisto e la commercializzazione di prodotti o derivati vitivinicoli – vini, liquori e distillati a base di succo d’uva, ma anche mosti e altri prodotti – dalle piccole aziende territoriali o analoghe misure che consentano la definizione di un prezzo equo minimo garantito, tutelando l’accesso delle piccole aziende al mercato”.
Fatte queste premesse, si chiede ai ministri Passera e Catania “quali iniziative si intendano predisporre, nell’ambito delle proprie competenze, al fine di porre rimedio alle criticità evidenziate in premessa e consentire un rilancio del comparto a tutela della forte vocazione vitivinicola del nostro Paese e se non ritengano opportuno valutare l’assunzione di iniziative finalizzate alla predisposizione di un piano di defiscalizzazione del settore citato in premessa che, incentivando il legame tra grandi aziende e piccoli produttori locali, dia respiro all’intero comparto”.
Anche il leghista Marco Reguzzoni è molto preoccupato della situazione attuale del comparto. “Secondo i dati resi noti da Coldiretti il raccolto dell’uva per la produzione vinicola ha toccato il minimo storico con 256,1 milioni di ettolitri di vino, il peggior risultato da quando 40 anni fa iniziarono le rilevazioni”. Si chiede al ministro Catania “se vi siano danni per la nostra industria vinicola e di quale entità presunta e quali iniziative il Governo abbia intrapreso o intenda intraprendere ai fini di far fronte alle conseguenze economiche dei dati suesposti”.
Poco vino: flagello od opportunità?
E sulla stessa lunghezza d’onda è Gaetano Nastri (Pdl), preoccupato del caldo e dei danni arrecati alla produzione. “La gravissima siccità che ha colpito la maggior parte delle regioni italiane e le varie ondate di calore, determinate dagli anticicloni sahariani, stanno creando non pochi problemi alla vendemmia che è attualmente in corso. Il caldo con temperature estreme per molti mesi e le scarsissime piogge hanno provocato una generalizzata diminuzione delle quantità d’uva che, secondo gli operatori del settore, sono risultate ridotte non tanto nel numero dei grappoli, quanto nel contenuto del succo, che è stato minore del normale. Il predetto fenomeno determinerà una minore produzione che, al momento, è stimata fra il 15 e il 20%, portando probabilmente la quantità di vino ottenuta al di sotto della soglia psicologica dei 40 milioni di ettolitri, la più bassa di sempre in Italia, con il rischio di essere superati dalla Francia e forse anche dalla Spagna”.
Non tutto però è perduto. “Nell’attuale fase generale di recessione in Europa e con un calo di consumi in Italia di vino, l’interrogante evidenzia come tuttavia un elemento positivo sia prevedibilmente rappresentato dal fatto che, per il 2012, non ci saranno molte eccedenze di produzione, con i prezzi all’origine che dovrebbero essere salvaguardati e il reddito agricolo che potrebbe non essere eccessivamente penalizzato. L’interrogante rileva altresì come il nostro Paese è stato richiamato in diverse occasioni, in sede comunitaria, proprio per le eccedenze di vino prodotte e rimaste invendute, che hanno usufruito della distillazione obbligatoria e pagata da tutti i contribuenti italiani, fino a pochi anni fa; di conseguenza una vendemmia difficile come quella che presumibilmente dovrebbe essere quella dell’anno in corso, non determina necessariamente uno scenario complessivamente negativo. Ciononostante la viticoltura e la produzione di vino sono, per il nostro Paese, un fenomeno economico e sociale di grande importanza”. Poi, dopo aver sciorinato i dati del settore, arriva la ricetta: “A giudizio dell’interrogante, in considerazione di quanto esposto, occorrono interventi e misure volte a tutelare e sostenere con maggiore incisività il comparto agricolo vitivinicolo italiano, la cui filiera costituisce un segmento rilevante e prestigioso per l’intera economia nazionale, con i vini che rappresentano una delle punte d’eccellenza del made in Italy a livello mondiale”.
Quindi la richiesta, per suffragare la quale la scarsa produzione, prima giudicata opportunità, adesso torna a essere flagello: “Si chiede quali siano gli orientamenti del ministro e se, in considerazione del previsto calo di produzione e delle prevedibili conseguenti negative ripercussioni sul profilo economico e produttivo del comparto vitivinicolo nazionale, non ritenga necessario assumere compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili e nel rispetto della normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, iniziative ad hoc volte a rilanciare la viticoltura italiana, il cui settore rappresenta un fenomeno economico e sociale strategico per il nostro Paese”.
Un nome, una garanzia
Nastri, napoletano ma eletto in Piemonte, agente di assicurazione, componente della Commissione Agricoltura della Camera, è uno dei più prolifici propugnatori di proposte a favore del settore. E vista la professione, dovremmo stare tutti più tranquilli. Sono sue le iniziative aventi a oggetto: istituzione dell’Agenzia per la promozione e la tutela delle produzioni agroalimentari e vitivinicole (2009), la disciplina per la salvaguardia e la valorizzazione dei vitigni autoctoni del territorio nazionale (stesso anno), Disposizioni per la salvaguardia e la valorizzazione dei prodotti italiani di qualità nonché contro le frodi e la contraffazione di prodotti agroalimentari (2010), istituzione di un Fondo rotativo per il sostegno delle imprese agroalimentari (stesso anno), disposizioni per la valorizzazione delle “terre italiane del vino” nel mondo (ancora 2010), modifica all’articolo 16 del decreto legislativo 8 aprile 2010, n. 61, concernente il rafforzamento delle attività di controllo relative alla tracciabilità dei vini a denominazione di origine protetta (chiedeva che a fare i controlli fosse nientemeno che il Comitato vini), Norme per la promozione delle attività turistiche legate al vino piemontese e istituzione delle Strade del vino piemontese e delle tipicità enogastronomiche locali (2011). Tutte iniziative, va da sé, giacenti nei cassetti delle rispettive commissioni.
Il Piemonte discriminato?
Ancora Nastri, che ha a cuore il “suo” Piemonte, si rende protagonista nel 2011 di un botta e risposta con il ministro sull’allocazione dei fondi dell’Ocm: “La regione maggiormente finanziata, secondo quanto riporta il quotidiano Italia Oggi del 17 novembre, è la Sicilia, a cui sono destinati oltre 54 milioni di euro; seguono, ad una certa distanza, il Veneto, la Puglia, l’Emilia Romagna e la Toscana, mentre il Piemonte risulta la sesta regione. I criteri e i metodi di ripartizione dei fondi, a giudizio dell’interrogante, appaiono contraddittori e di dubbia interpretazione in considerazione che la regione Piemonte, il cui comparto vitivinicolo è caratterizzato da una produzione tutelata da ben 13 Docg e 44 Doc i cui vini che sono diventati simboli e ambasciatori del Piemonte e dell’Italia in tutto il mondo e che esprimono grandi qualità frutto del lavoro svolto da migliaia di produttori e del profondo legame con il territorio, possiede una superficie coltivabile di circa 58.000 ettari, il 63 per cento dei quali godono dello status come predetto di Doc e Docg. Risulta conseguentemente incoerente ed in contrasto con i suesposti criteri l’impostazione del riparto dei fondi stabilito dal decreto ministeriale e si chiede se siano stati utilizzati ulteriori parametri oltre a quelli esposti in premessa per la ripartizione dei fondi indicati e se, considerato che la regione Piemonte risulta essere stata penalizzata, dovrebbe consentire alla medesima regione di ricevere maggiori risorse nei confronti del comparto vitivinicolo. Si chiede se il ministro intenda assumere iniziative nel senso di riconsiderare tale ripartizione di fondi”.
Puntuale e laconica la replica di Catania: “Il provvedimento di riparto dei fondi per l’anno 2012, come tutti i provvedimenti analoghi degli anni precedenti, ha ricevuto l’intesa della Conferenza Stato-Regioni. Al riguardo, ritengo opportuno sottolineare che l’Amministrazione sottopone puntualmente i provvedimenti che emana all’attenzione della Conferenza Stato-Regioni. In particolare, i criteri per la ripartizione dei fondi sono stati individuati dalle regioni stesse nell’ambito di un’apposita riunione della Commissione politiche agricole del 23 luglio 2009. Pertanto, nel procedere alla ripartizione dei fondi, la mia amministrazione applica pedissequamente quanto stabilito e deciso autonomamente dalle regioni. Ciò premesso, ne consegue che l’amministrazione centrale non ha alcuna possibilità di intervenire sulle decisioni delle regioni e province autonome circa i criteri da assumere per la ripartizione dei fondi. Qualora la regione Piemonte dovesse ritenersi penalizzata dalla ripartizione attuata, circostanza di cui non sono a conoscenza, può semplicemente chiedere la convocazione di un’apposita Commissione politiche agricole e discutere, in tale ambito, la formulazione di nuovi e più appropriati criteri di riparto. Per concludere vorrei informare l’interrogante che la regione Piemonte, nella scorsa campagna, a fronte di un importo complessivo assegnato di 17.018.000 euro, ha effettivamente speso 16.300.310 euro, realizzando un’economia di circa 700.000 euro, nonostante il richiesto finanziamento della misura della distillazione di crisi per alcuni vini Dop, mentre nella precedente campagna, a fronte di uno stanziamento di oltre 14 milioni di euro, la regione ne ha utilizzati poco più di 7 milioni”.
Il Lambrusco spacca anche il Parlamento
La questione della zona di produzione del Lambrsuco emiliano ha agitato anche le stanze parlamentari, dove sono fioccate interrogazioni pro e contro l’estensione dei confini. La reggiana Leana Pignedoli, capogruppo Pd al Senato in Commissione Agricoltura, si rivolgeva così al ministro dell’epoca, Saverio Romano: “Considerato che i contenuti della modifica del disciplinare del Lambrusco Igt Emilia, respinta dal Comitato, sono coerenti con quanto disposto per i Lambruschi Doc e con quanto recentemente è avvenuto per il Parmigiano Reggiano DOP, si chiede di sapere quali provvedimenti il ministro intenda adottare al fine di garantire, in tempi rapidi, che le proposte di modifica del disciplinare di produzione del Lambrusco IGT Emilia siano recepite e rese operative”.
A questa richiesta pro-Emilia non poteva mancare quella pro-Lombardia della deputata leghista Silvana Comaroli, che chiede al ministro se “intenda intervenire al fine di rivedere la proposta di modifica del disciplinare di produzione dei vini ad indicazione geografica tipica Emilia, allo scopo di rendere più forte l’immagine dei vini Igt Emilia nel mondo, non a discapito proprio di quelle aziende (lombarde, ndr) che tanto hanno fatto per promuovere quell’immagine”.
Povero Frascati
Giuseppe Francesco Maria Marinello (Pdl), odontoiatra di Sciacca, è invece molto preoccupato per una tematica a lui molto vicina: l’imbottigliamento in zona del Frascati. Pertanto chiede– siamo nel 2011 – “quali siano le motivazioni che hanno indotto il ministero a concedere l’autorizzazione in deroga alla ditta (omissis), nonostante le articolate obiezioni poste dal Consorzio, il quale diffidando il medesimo ministero, ha espresso con chiarezza i pericoli e il danno sia di immagine che economico, che la deroga in questione ha causato, ledendo i diritti e gli interessi dei produttori vitivinicoli del territorio di produzione dei vino di Frascati. Si chiede se non ritenga infine opportuno, in considerazione di quanto esposto in premessa, riconsiderare in particolare la deroga delle autorizzazioni per imbottigliamento al di fuori della zona di produzione del vino Doc di Frascati concesse, al fine di garantire una maggiore applicazione della tracciabilità e rintracciabilità della filiera vitivinicola”.
Marinello è un caso molto particolare, uno specialista di molte branche del sapere: oltre a occuparsi di tematiche affini con la sua professione (sua la proposta di legge “Disposizioni in materia di accesso degli odontoiatri alla dirigenza nell’ambito del Servizio sanitario nazionale”), ha presentato come primo firmatario iniziative per l’istituzione della Giornata della memoria delle vittime del comunismo, Norme per l’incentivazione dell’economia siciliana mediante la riduzione del carico fiscale gravante sui consumi energetici nell’isola, Disposizioni per la tutela dell’ambiente marino, Disposizioni in materia di iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti, Disposizioni in materia di rilascio della patente di servizio agli autisti giudiziari. Poi una legge quadro sulla prevenzione e la cura della talassemia, della drepanocitosi e delle emoglobinopatie genetiche, Norme per l’assistenza alla nascita e la tutela della salute del neonato, Disposizioni in materia di tutela della salute mentale e per la difesa dei diritti dei cittadini con disturbi mentali, Disciplina delle medicine e delle pratiche non convenzionali.
Biologico mon amour
Per il settore invece sin dal 2008 Marinello si è occupato di scrivere da zero la nuova “Disciplina delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini”, rimasta ovviamente lettera morta insieme con quella del collega Teresio Delfino. Delfino, componente della Commissione Agricoltura della Camera, è parlamentare di lunghissimo corso. Sette legislature all’attivo, in quota oggi all’Udc, nell’ultima ha presentato come primo firmatario una proposta di legge contenente “Disposizioni per lo sviluppo e la commercializzazione dei prodotti dell’agricoltura biologica”. Il biologico è un tema che ha appassionato i nostri politici: ben otto le proposte di legge presentate tra Camera e Senato, un vero record. Tutte ovviamente rimaste lettera morta.
Chi pensa ai Vignaioli indipendenti?
Ad Adriana Poli Bortone (Udc) invece stanno a cuore i piccoli vignérons di casa nostra, e perora la causa della Fivi. “Le varie espressioni ed esigenze del settore vitivinicolo italiano implicano la necessità di riconoscere il ruolo che la Federazione italiana vignaioli indipendenti svolge fra le organizzazioni di produttori nel nostro Paese. Limitare il riconoscimento e quindi la rappresentatività alle sole organizzazioni di commercializzazione e di concentrazione dell’offerta, o ancora definire la fissazione di soglie di ingresso (in termini di numero di soci e/o di volumi di produzione), risulterebbe pregiudizievole allo sviluppo e alla competitività delle imprese rappresentate dalla organizzazione di filiera Fivi. Per ciò che concerne le organizzazioni interprofessionali, la regolamentazione comunitaria prevede che gli Stati membri riconoscano le organizzazioni interprofessionali che ‘raccolgono dei rappresentanti delle attività economiche legate alla produzione, al commercio o alla trasformazione’ dei prodotti del settore vitivinicolo. Tale aspetto di rappresentatività è il fondamento costitutivo della Fivi: i vignaioli indipendenti, attori trasversali del sistema, sono produttori di uve e vinificatori e commercializzano i vini prodotti, praticando quindi tutte e tre le funzioni previste dalla norma, nessuna esclusa”. Da cui la richiesta di sapere “se il ministro in indirizzo non intenda operare affinché la Fivi sia riconosciuta tra le organizzazioni interprofessionali”.
Il caso di Calearo Ciman
Quando l’onorevole si diletta di chimica
L’inquieto (politicamente parlando) Calearo Ciman, entrato in Parlamento col Pd nella circoscrizione di Vicenza, transitato nel gruppo misto e approdato a Popolo e territorio, formazione che comprende tutta una serie partitini, ha il chiodo della solforosa: fa male. Per cui bisogna indicarla in etichetta con tutti i crismi. Ecco una sintesi della sua dettagliatissima perorazione, che per un imprenditore del settore telecomunicazioni e auto motive sa di vero miracolo: “Molti sono gli additivi usati nella trasformazione dell’uva in vino, ma la regina tra questi è indiscutibilmente l’anidride solforosa. Sono stati fatti molti studi sulla tossicità dei solfiti, ma i risultati sono a tutt’oggi poco chiari. Negli ultimi anni si è parlato molto di vino e solfiti, soprattutto da quando la normativa italiana ha recepito la direttiva 2003/89/CE, detta la direttiva allergeni, entrata in vigore il 25 novembre 2003. Questa obbliga i produttori del settore alimentare a presentare in etichetta tutti i prodotti allergeni (e tossici), tra cui l’anidride solforosa e i suoi derivati”.
Quindi la lunga e articolata spiegazione di cosa sia “l’anidride solforosa (o biossido di zolfo – SO2): un gas incolore, dall’odore pungente che viene impiegata, nonostante l’elevata tossicità, come additivo in tutti i campi alimentari, in particolare l’enologia. Si trova ad esempio in: baccalà, gamberi e conserve, crostacei freschi o congelati, frutta secca, prodotti sott’aceto e sott’olio, marmellate e confetture, aceto, vini, bevande a base di succo di frutta, e altro. L’anidride solforosa ha parecchie proprietà che ne giustificano l’impiego generalizzato: antisettico; antiossidante; antiossidasico; solubilizzazione; combinante; chiarificante. Le attuali normative fissano per l’Italia i limiti massimi a 160 milligrammi per litro per i vini rossi, 210 per i bianchi, 400 per i vini dolci. Il disciplinare biologico, invece, prevede le soglie di 60 milligrammi per litro per i vini rossi, 80 per i bianchi, 120 per i vini dolci, anche se il quantitativo consigliato è inferiore ai 20 milligrammi per litro”.
Segue l’elencazione delle controindicazioni: “Tossica per inalazione, corrosiva e irritante per le vie respiratorie e il tubo digerente, l’anidride solforosa può provocare alterazioni nel metabolismo di alcuni amminoacidi e della vitamina B1. In particolare il principale effetto negativo dell’anidride solforosa, in individui non affetti da ipersensibilità, è connessa all’azione degradativa a carico della vitamina B1 (tiamina), la cui carenza nell’uomo può provocare significative alterazioni a carico del metabolismo degli zuccheri (diabete). In base a quanto emerso da autorevoli studi, nei soggetti sensibili ai solfiti si possono scatenare asma, difficoltà respiratoria, fiato corto, respiro affannoso e tosse. Tali soggetti devono limitarne il più possibile l’ingestione”.
Un provetto enologo
Fatta la premessa, cosa si suggerisce? Ciman diventa enologo, e spiega: “Nell’ottica di ridurre al minimo indispensabile la presenza di SO2 in vinificazione l’odierna enologia suggerisce di utilizzare uve sane e integre, raccolte preferibilmente a mano per essere riposte in cassette, opportunamente refrigerate all’interno di efficienti celle adibite alla frigo conservazione del prodotto fresco. L’utilizzo di celle di frigo conservazione in atmosfera controllata permetterebbe di evitare l’instaurarsi di fermentazioni indesiderate senza dover ricorrere all’impiego della SO2 mentre nel contempo consentirebbe di ridurre la velocità con cui decorrono sia lo sviluppo delle popolazioni microbiche sia i processi degenerativi responsabili della sovra maturazione e quindi della senescenza dell’uva utilizzata; l’utilizzo di una materia prima integra, poi, e consente di minimizzare i rischi connessi alla presenza di micotossine e richiede l’impiego di quantitativi di SO2 nettamente inferiori per controllare lo sviluppo dei lieviti selvaggi che, eventualmente, si siano riprodotti durante le fasi di raccolta e trasporto. Nell’eventualità si debbano lavorare uve danneggiate da agenti fisici o microbici, converrebbe procedere a una rapida diraspa/pigiatura al fine di limitare la riproduzione dei lieviti selvaggi e per limitare la quantità di SO2. Ad ogni modo l’uso di altri additivi (acido ascorbico e lisozima) ad azione sinergica e/o di pratiche enologiche adeguate (uso del freddo, gas inerti) permette oggi di ridurre significativamente le concentrazioni di SO2, l’impiego del lisozima (enzima ammesso nell’impiego enologico) sia in fase di vinificazione che di conservazione di un vino bianco consente ad esempio, di ridurre le dosi di anidride solforosa necessarie per limitare la proliferazione dei batteri lattici. Adottando questi accorgimenti – spiega il deputato provetto cantiniere – un tenore di SO2 non superiore a 100 milligrammi/litro dovrebbe essere più che sufficiente a garantire una sufficiente stabilità al prodotto. Per quanto riguarda infine i vini per la preparazione di spumanti, sono state in passato impiegate dosi eccessive di SO2 che non sempre appaiono giustificate. Il rapporto esistente in un vino finito tra anidride solforosa libera e combinata permette di formulare alcune ipotesi inerenti lo stadio della lavorazione in cui questo additivo è stato impiegato. Infatti, un vino dotato di un elevato tenore di SO2 combinata probabilmente deriva da un mosto con dosi elevate di SO2, mentre al contrario una sua ridotta presenza potrebbe indicare come questo additivo sia stato aggiunto preminentemente al vino finito. La dose di anidride solforosa libera richiesta nella stabilizzazione del prodotto finito corrisponderebbe in questo caso, a un basso livello di anidride solforosa totale”.
Cosa fare, quindi? “Occorre sottolineare come un vino di qualità si programmi a partire dal vigneto. È necessario tornare ad una viticoltura senza chimica e a un’enologia meno tecnologica per avere vini più tipici, unici, inimitabili, finalmente vera espressione di quello che i francesi definiscono terroir in netto dissenso con la standardizzazione e omologazione della maggior parte dei vini in commercio. La coltivazione deve essere rispettosa della zona e del vitigno, evitando forzature come irrigazione, concimazioni chimiche e antiparassitari sistemici che tendono a stimolare produzioni quantitative della pianta a scapito di quelle qualitative e a modificare quel rapporto terreno/pianta/clima che è la condizione indispensabile per lo sviluppo di una pianta forte che produce uve sane, equilibrate e ricche, uniche, inimitabili e soprattutto identificabili. La vigna a conduzione biologica seguita con impegno (quindi con un alto grado di consapevolezza) può garantire la produzione di uve di ottima qualità e salubrità.
Il vino? Un pericoloso impunito
“Al fine di ottenere un vino integrale e medicinale di qualità, bisognerebbe applicare quei procedimenti che rispettino, il più possibile, la costituzione naturale del mosto. Il vino, pur essendo un prodotto alimentare complesso (coltivazione, vinificazione, imbottigliamento e sottoposto a lavorazioni con uso di molte sostanze chimiche) fino ad ora ha goduto di una favorevole impunità godendo dell’esenzione dall’obbligo di elencare gli ingredienti in etichetta, come altresì imposto a tutti gli altri prodotti alimentari. La normativa che recentemente ha imposto la scritta in etichetta ‘contiene solfiti’ o equivalenti in realtà non permette al consumatore di scegliere vini a basso contenuto di solforosa, in quanto la dicitura è imposta sia per vini che contengono 11 milligrammi per litro di SO2, che per vini che ne contengono 210 milligrammi. A tal proposito come per le bottiglie d’acqua, per evitare contestazioni in successivi controlli, sarebbe auspicabile indicare la data del certificato di analisi riferita al lotto di imbottigliamento. Inoltre, fra tutti gli additivi e coadiuvanti di uso enologico, l’anidride solforosa è l’unico di cui si siano verificati gli effetti tossicologici. Pertanto è importante attuare tutti i possibili metodi atti a ridurre il suo impiego in enologia. Ormai molti produttori hanno ridotto o eliminato l’uso di anidride solforosa nella produzione dei vini ma ciò è possibile solo quando, a monte, le uve sono sane ma soprattutto è possibile grazie all’estrazione o all’utilizzo di antiossidanti esclusivamente naturali”.
Fatta questa lunga e doverosa premessa, la richiesta al ministro: “Se intenda intervenire ed in che modo al fine di emanare un’apposita normativa che miri a stabilire l’obbligo di indicare in etichetta il quantitativo esatto della solforosa totale, con una dicitura dettagliata e trasparente quanto quella degli altri prodotti alimentari, ciò al fine di tutelare sia il consumatore, messo in condizione di conoscere i possibili effetti nocivi di una bottiglia di vino, e quei produttori che svolgono il loro lavoro in modo etico, utilizzando solo antiossidanti naturali, e che non devono vedere il loro impegno sprecato a causa di ingiuste produzioni concorrenziali non paragonabili”.
I parlamentari e senatori più attivi per il settore vino
Camera
Gaetano Nastri (Pdl)
Massimo Fiorio (Pd)
Susanna Cenni (Pd)
Marco Giovanni Reguzzoni (Lega)
Teresio Delfino (Udc)
Nicodemo Nazzareno Oliverio (Pd)
Viviana Beccalossi (Pdl)
Alessandra Siragusa (Pd)
Giuseppe Francesco Maria Marinello (Pdl)
Calogero Mannino (Misto)
Senato
Leana Pignedoli (Pd)
Tomaso Zanoletti (Pdl)
Adriana Poli Bortone (Cn)
Laura Bianconi (Pdl)
Irene Aderenti (Lega)
Giuseppe Ferruccio Saro (Pdl)
Carmelo Morra (Pdl)
Vincenzo Fasano (Pdl)
Antonio D’Alì (Pdl)
Gianpiero D’alia (Udc-Svp)
Fonte: selezione da Openparlamento-Openpolis