Della possibilità di introdurre un prezzo minimo per unità alcolica si parla da diversi anni nel Regno Unito (qui ad esempio ne abbiamo parlato in riferimento all’opposizione alla sua introduzione da parte dell’associazione di categoria WSTA).
Tra i più forti promotori di questa misura quelli che nel minimum price vedono una potente arma alla lotta all’alcolismo. A far da amplificatore alle loro voci una nuova ricerca condotta all’Università di Sheffield e pubblicata sul British Medical Journal, ricerca secondo la quale l’introduzione di un minimo di 45 pence per unità alcolica potrebbe essere cinquanta volte più efficace, nella lotta all’abuso di alcol, di tutte le attuali politiche antialcolismo.
Si potrebbero, infatti, secondo questo studio, salvare 634 vite in un anno e la spesa pubblica (in cui l’alcolismo incide, dati 2012, per 21 miliardi di sterline ogni anno) beneficerebbe di un numero minore di ricoveri ospedalieri pari a 23.700; queste statistiche sono state fatte partendo da una percentuale consumatori smodati (definiti “harmful drinkers” – consumatori nocivi) del 5,3% sul totale dei consumatori di alcolici. Il divieto di vendita sottocosto, introdotto dal governo britannico a inizio 2014, ha avuto invece un’influenza sul consumo smodato di alcolici del solo 0,08%, riducendo le unità alcoliche consumate di solo 3 punti; nelle previsioni di Sheffield invece il prezzo minimo potrebbe ridurre il consumo in unità alcoliche di 137 punti, ovvero il consumo smodato del 3,7%. Dal punto di vista del costo degli alcolici il prezzo minimo farebbe lievitare il prezzo di vendita del 23% circa (il divieto alle vendite sotto costo l’ha fatto invece crescere del solo 0,7%).
Diversamente altri sostengono che il prezzo minimo avrebbe solo un minimo effetto sul fenomeno, la Wine and Spirit Trade Association sostiene inoltre che questa misura sarebbe deleterie per il mercato.
FEB