Un mercato da 184 milioni di dollari, per un volume di 150 milioni di litri di vino importato. Sono le dimensioni dell’Africa nera, in particolare dei 15 Paesi che negli ultimi anni hanno sviluppato una crescente dinamica di consumo e su cui si stanno appuntando le prime strategie di penetrazione delle grandi multinazionali del vino e del beverage. Su questi Paesi, con uno speciale che uscirà sul Corriere Vinicolo n. 38 del 1° ottobre, accendiamo i riflettori, per rendere conto di quali siano i volumi di vino assorbito, quanto di questi è vino in bottiglia, quali siano i principali fornitori e i prezzi spuntati dagli operatori.
Per dare un ordine di dimensioni del mercato più profittevole, quello del confezionato, Nigeria, Camerun, Namibia, Mozambico e gli altri Paesi oggetto d’indagine offrono un bacino che vale poco meno di 1 milione di ettolitri: ovvero, il 62% di tutto quello che importano è confezionato all’origine. Cifra rilevantissima, se si pensa che oggi il fenomeno Cina importa 2 milioni di ettolitri di vino in bottiglia, pari a circa il 65% del totale import. Sui valori il continente nero – sempre in rapporto alla Cina – è ancora molto indietro: la spesa africana per il vino confezionato si aggira sui 100 milioni di dollari, pari al 56% del totale, mentre la quota a Pechino sfiora il 90%, per un totale di oltre 1 miliardo. Azzardando una provocazione, l’Africa potrebbe essere oggi quello che la Cina era sei anni fa, quando il valore delle importazioni dei vini confezionati non arrivava neanche a 80 milioni di dollari.
Che il continente nero possa sperimentare un’esplosione come quella cinese è molto arduo ipotizzarlo, ma a leggere le strategie dei grandi gruppi internazionali, sempre più sovente l’Africa viene citata come nuovo Eldorado del vino. Ultimo in ordine di tempo un alto dirigente della Pernod Ricard, che parlando di Champagne additava come necessaria per la sopravvivenza delle maison una più spinta vocazione alla ricerca di nuovi mercati. E citando il suo gruppo, le strategie si stanno dirigendo con decisione verso la Nigeria, mercato in grande crescita e sui cui il colosso francese sta ipotizzando la costituzione di una rete di distribuzione propria.
Altro esempio di fascinazione per l’Africa è quello di Concha y Toro, che ad aprile di quest’anno ha aperto un ufficio commerciale a Cape Town, in Sudafrica. La VCT Africa & Middle East (PTY) Ltd. per ora non andrà a sostituirsi ai distributori dislocati nei vari Paesi obiettivo, ma si occuperà prevalentemente di rafforzare la presenza dell’azienda nel continente africano attraverso attività di promozione e marketing rivolte direttamente al consumatore, in particolare per i brand Casillero del Diablo, Marques de Casa Concha e Don Melchor. La distribuzione diretta invece riguarderà da subito i marchi Trivento e quelli della Fetzer Vineyards, recentemente acquisita.
La polverizzazione dei fornitori
A oggi, scorrendo la lista dei principali fornitori di vino verso i Paesi dell’Africa nera, si nota una certa polverizzazione: di solito, vi è un leader di mercato, che a volte può essere un vero monopolista (è il caso del Sudafrica in Zimbabwe o in Zambia), mentre altre volte fanno capolino alcuni Paesi africani, che operano da piattaforma di distribuzione di vino importato: è il caso del Gabon in Congo, di Ghana e Costa d’Avorio in Burkina Faso, dello Zimbabwe in Zambia, del Kenya in Uganda o del Botswana in Nigeria (fenomeno tra l’altro relativamente recente).
Negli altri casi, a comparire nelle liste dei fornitori, oltre all’onnipresente Sudafrica, di solito sono gli europei: molta Spagna, Francia, Portogallo, scarsa presenza degli americani, degli australiani, ancora poca cosa gli argentini, mentre un po’ più solida e in crescita negli ultimi anni pare la presenza cilena. Quindi ci sono i Paesi europei “rivenditori”, spesso ex dominatori coloniali: Regno Unito, presente un po’ ovunque come il prezzemolo, Belgio, Paesi Bassi. Fanno capolino spesso – ma li abbiamo tolti dalle tabelle per rendere il quadro il più omogeneo possibile – anche presenze da Cina e dagli Emirati Arabi Uniti. Scarsamente presenti – tranne il caso del Marocco in Senegal e Costa d’Avorio o della Tunisia in Burkina Faso – i Paesi produttori del Maghreb.
La presenza dell’Italia
L’Italia non ha ancora trovato una sua dimensione in questo spicchio d’Africa. Probabilmente il problema è di lunga data: non potendo vantare una tradizione coloniale e imperialista, che di sicuro ha agevolato francesi, inglesi, ma anche portoghesi, belgi e olandesi, i nostri operatori hanno ancora bisogno di recuperare un gap di approccio culturale con questi Paesi, i più evoluti come quelli meno. Una mancanza di consolidati scambi commerciali che – finita l’era dell’imperialismo – ha messo a nudo l’assenza quasi totale di conoscenza di che cosa siano questi Paesi, prima ancora di poterli approcciare come mercati. Un gap molto difficile da recuperare.
Così oggi ci troviamo spesso nelle retrovie: scorrendo le classifiche, siamo ben posizionati solo in Tanzania e Costa d’Avorio (terzi), secondi in Uganda (dove però mandiamo più che altro vino sfuso), mentre per il resto giochiamo da metà classifica in giù. Persino nei mercati più evoluti e dinamici il nostro è un ruolo da comprimari: in Nigeria siamo ottavi, sesti in Mozambico, totalmente assenti in Namibia.
Molto meglio hanno fatto gli spagnoli, i quali il gap commerciale-culturale che azzoppa l’Italia sono riusciti a colmarlo nel corso degli ultimi anni. Capita spesso e volentieri di trovarceli davanti, e in alcuni Paesi sono ai primi posti della classifica fornitori, con performance in grande aumento da un anno all’altro: Camerun, Congo, Costa d’Avorio, Gabon, Ghana, Mozambico, Tanzania, Nigeria. Qui, tanto per fare un esempio, sono passati da quantità risibili sull’imbottigliato a quasi 11 milioni di dollari di fatturato.
Sul Corriere Vinicolo n. 38 l’analisi dettagliata dei singoli Paesi, con i volumi di import totale, l’imbottigliato e i principali fornitori