Apprendiamo che recentemente cinque consorzi spagnoli si sono uniti per mettere a punto un progetto di promozione congiunto sul mercato nordamericano. Cos’hanno in comune illustri (o quasi) sconosciuti come le aragonesi Calatayud, Campo de Borja, Carinena, Somontano e la catalana Terra Alta? Qualcosa che i mercati in questione potrebbero recepire molto di più come messaggio: il vitigno Garnacha.
Il progetto, della durata di 3 anni, vale 2,25 milioni di euro, ed è cofinanziato dalla Ue (50%), dal ministero dell’Agricoltura spagnolo (20%) e per il resto dalle 5 Do. E’ la prima volta – almeno in questa Comunidad – che si arriva a definire un progetto di promozione congiunta, considerato che su questi due mercati la quota di consumo di questa varietà è ancora minimale, pari allo 0,2%, e ha quindi tutto lo spazio per crescere.
La cosa che fa riflettere è che le premesse del piano di promozione fanno perno proprio sul vitigno, di cui le 5 Do in questione producono il 35% del totale spagnolo e il 25% di quota export: ovvero la Garnacha come elemento unificante e al tempo stesso distintivo delle varie zone di produzione. E il vitigno come cavallo di Troia per arrivare prima e meglio nel linguaggio diretto con il consumatore nordamericano. Insomma, prima ti dico di cosa è fatto il vino e poi ti spiego le differenze espressive del vitigno a seconda delle regioni.
Se avranno ragione gli spagnoli, lo diranno i numeri di export dei prossimi anni. Di certo, è un concetto – quello del vitigno ambasciatore di più territori – che potrebbe essere adottato anche in Italia, sia su vitigni cosiddetti autoctoni – pensiamo alla Barbera (Piemonte, Lombardia, Campania), al Sangiovese (Emilia Romagna, Toscana, Puglia) – sia e forse di più per quelli internazionali, come Pinot grigio, Merlot, Syrah, Cabernet eccetera, già straconosciuti sui mercati mondiali e a cui manca oggi la comunicazione di una specifica impronta territoriale distintiva.