L’export turco ha ripreso a correre. Dopo un periodo di appannamento, coinciso con l’inizio della crisi economica globale, le spedizioni di vino in bottiglia da Ankara sono ripartite, portandosi nel giro di due anni da 6,8 a 8,6 milioni di dollari del 2012. Se si guarda all’andamento decennale, il valore dell’export turco è praticamente raddoppiato, sebbene i volumi siano in riduzione significativa, nello stesso periodo praticamente dimezzati. E’ cresciuto quindi il valore al litro, passato da poco più di 1 dollaro del 2000 ai 3,60 del 2012.
Un ruolo chiave nel giro d’affari di questo Paese lo rivestono le free trade zones, zone franche speciali istituite dal governo (una ventina circa) per attirare capitali stranieri, e di cui evidentemente si è avvalso più di un operatore estero, segnatamente dalla Germania. I tedeschi infatti nel 2000 erano primi clienti diretti, con oltre 2 milioni di dollari di import, ma 12 anni dopo sono scivolati al quinto posto, con 436.000 dollari. Nello stesso periodo, le free zones sono passate da 112 mila dollari a circa 2 milioni di dollari di “import”, segno che vi è stato un vero e proprio travaso di merce: non più scambio diretto Turchia-Germania, ma triangolazione Turchia-FTZ-Germania. Il grafico riassume la situazione:
Per il resto, il vino turco trova la maggiore destinazione in Belgio, quindi Cipro (altro Paese a fiscalità neutra, punto di transito e di riexport), Regno Unito e Usa, con i quali c’è in ballo un accordo di libero scambio, dopo aver accarezzato l’idea (nel 2007) di creare una zona franca industriale specifica, progetto poi saltato.
Fonte: elaborazioni Corriere Vinicolo su dati Istituto di statistica turco