di Matteo Marenghi
Le radici sono organi di accumulo, di ancoraggio e di sintesi di ormoni. Ma gli apici con i peli radicali sono il vero apparato radicale della pianta, che non è quindi visibile osservando le radici ad occhio nudo. “E il pelo radicale – ha specificato Diego Tomasi del Crea di Conegliano – vive giorni o settimane, poi muore; occorre mantenerlo quindi attivo il più possibile. Fondamentale a questo fine è lo stato dei terreni, che per diversi motivi può ostacolare lo sviluppo radicale (compattezza, poca disponibilità di ossigeno, ristagni idrici, …). Le lavorazioni devono migliorare le possibilità di sgrondo dell’acqua e favorire l’ossigenazione, lo stesso deve fare l’apporto di sostanza organica. Anche rompere l’apparato radicale, magari tramite ripper che può scendere anche a 40-50 cm di profondità, può servire a rivitalizzarlo, con conseguente emissione di nuove radici molto più attive. Assolutamente positivi gli apporti di compost e di letame per in incrementare il tenore di sostanza organica nel suolo. Esperienze di pacciamatura con vinaccia, compost o paglia hanno dato risultati molto positivi, anche se a volte, per fenomeni di risalita capillare dell’acqua si determina una eccessiva risalita superficiale delle radici, per questo può essere più opportuno un leggero interramento del materiale di pacciamatura”. Se guardiamo quindi il terreno e lo stato delle radici con questa consapevolezza ci accorgiamo che solo dopo arriva l’importanza del portinnesto e del clone; infatti se il terreno non è in stato ottimale il portinnesto non può espletare le sua peculiarità.
Edoardo Costantini del Crea di Firenze ha parlato poi di diversità dei suoli e caratterizzazione dei vini. “L’Italia – ha esordito – ha una ricchezza di tipi di suolo che non ha pari al mondo, soprattutto se abbinata alla diversità dei climi della penisola. In un atlante sono stati raggruppati i vigneti italiani in 92 macroaree viticole dove sono descritte tutte le peculiarità. Non tutto ciò rientra però purtroppo nelle delimitazioni delle Doc che invece spesso rispondono a criteri amministrativi, ma la diversità del suolo certo determina le differenze nei vini”.
La mediazione microbica
Nelle caratteristiche del terreno ha fondamentale importanza la microbiologia; al punto che, come l’uomo, il terreno “non funziona” se non è popolato da microrganismi. Per questo è più opportuno considerare il suolo come un organismo vivente. I microrganismi rendono disponibili gli elementi nutritivi del terreno e fra di essi e la pianta esiste un fitto scambio di sostanze (quali gli essudati radicali che vengono rielaborati e resi utili al nuovo assorbimento da parte delle radici). “Esiti di sperimentazioni alla mano hanno messo in relazione la biodiversità del terreno – ha detto Anna Benedetti del Crea di Roma – e la qualità dei vini. Bisogna poi tenere conto che il vigneto di per sé indebolisce la biodiversità del suolo e le lavorazioni pre impianto ne sconvolgono, negativamente, l’equilibrio microbiologico, dato che i microrganismi più importanti vivono nei primi 5 centimetri di profondità. Inoltre ogni vitigno associa preferibilmente alcuni organismi; questo lo si è visto in prove con diverse varietà nello stesso terreno. Piani di fertilizzazione differenti infine portano a popolazioni diverse di microrganismi non solo sulle radici ma anche sulle bacche. Microvinificazioni hanno dimostrato che, dal punto di vista organolettico, i vini da stessi vitigni nello stesso sito ma fertilizzati diversamente, sono diversi. Esperienze analoghe dimostrano anche che il gusto di pesche, albicocche, pere varia per lo stesso motivo”.
Irrigare o fertirrigare?
La vite dà segnali di stress idrico di facile lettura, tramite gli apici vegetativi, oppure le foglie che assumono una posizione verticale per sfuggire all’insolazione. “Però – ha aggiunto Stefano Poni dell’Università Cattolica di Piacenza – il problema dell’apporto idrico ottimale non è di facile soluzione. Per monitorare quindi le esigenze della pianta, ricordando che varietà diverse e diversi portinnesti hanno differente resistenza agli stress, sono di utile impiego sistemi di supporto alle decisioni che avvisano quando il terreno perde troppa acqua. C’è poi tutto il capitolo che riguarda le possibilità di interventi che non contemplino l’irrigazione, ricordando che vigneti più fitti resistono meno alla siccità (c’è un maggior consumo di acqua dovuto alla maggiore intercettazione della luce), così come vigneti inerbiti consumano più acqua (quelli spontanei con specie avide poi certamente sono più dispendiosi di un inerbimento ad esempio con Festuca rubra); vigneti squilibrati (con eccessi di produzione rispetto alle foglie) infine sono sempre più sensibili agli stress”.
L’ala gocciolante (appesa al primo filo o appoggiata al suolo) oggi sviluppa tecnologie molto avanzate, ad esempio con sistemi di autocompensazione per erogazioni uniformi. “Oppure ali per subirrigazione – ha illustrato Andrea Guidetti di Acquafert – con sistemi anti-sifone e anti-radicale che impediscono rispettivamente l’ingresso di terra e radici nell’impianto. I dispositivi di comando (via cavo o idraulici) sono integrati all’impianto, mentre dispositivi via radio possono essere anche installati su allestimenti già esistenti. Controlli da remoto fanno interagire l’impianto con i rilievi delle centraline meteo”.
C’è poi tutto il capitolo dei sistemi automatici di fertirrigazione, di sempre maggior diffusione, di cui ha parlato Mauro Schippa di Haifa. “Con la fertirrigazione – ha detto Schippa – l’apporto minerale è immediatamente a disposizione dell’apparato radicale e quindi utilizzato. Gli elementi entrano nelle radici tramite sistemi di trasporto attivo, che richiedono energia, data da disponibilità fosfatica (sistemi adp-atp), e con apporti modesti e continuati l’utilizzo da parte della pianta è molto più efficiente. Va chiarito però un punto; la fertirrigazione va adottata non solo quando la pianta ‘ha sete’, ma nei momenti di maggior esigenza nutrizionale, anche dopo piogge (tanto l’apporto di acqua è minimo). Regolando la fertirrigazione si possono determinare i più idonei livelli di APA, acidità, zuccheri… di bacche e mosti. È chiaro che le ‘ricette’ (quantitativi, periodi, turni…) vanno sperimentate e tarate su ambienti, vitigni e obiettivi enologici differenziati”.
Granulari più fertirrigazione, il caso del Glera
Con il passaggio all’irrigazione devo adottare anche la fertirrigazione? Con i cambiamenti climatici la concimazione granulare è ancora ugualmente efficace? Quali gli impatti dei costi economici e ambientali delle due tecniche di fertilizzazione? “Sperimentazioni condotte su Glera – ha riferito Massimiliano Luison di Santa Margherita Spa – hanno dato significative risposte a queste domande, comparando tre linee per un triennio: concimi granulari innovativi a inizio stagione poi 8 interventi di fertirrigazione; 8 interventi di sola fertirrigazione; 3 interventi granulari tradizionali”. Tutto questo perché il gruppo Santa Margherita spinge i propri conferitori a passare all’ala gocciolante, quindi occorre ritarare anche la nutrizione. Le prove sono state condotte fino alla vinificazione delle partite di vino e valutazione organolettica tramite panel test. La tesi con granulare e fertirrigazione ha sempre prodotto di più e con profili di vini più idonei agli obiettivi (10-15% in più di PLV rispetto agli altri 2 sistemi) permettendo quindi, a parità di effetto, di ridurre le unità fertilizzanti rispetto al solo granulare (60 unità di azoto/anno rispetto alle 80). Da sottolineare poi che i concimi granulari con piogge sempre più intense in brevi periodi, spesso sono totalmente dilavati; i concimi liquidi no, e vanno distribuiti senza timore anche dopo piogge perché alla fine apportano solo dai 2 ai 5 mm di acqua.
Qui la playlist con le interviste agli operatori e ai referenti scientifici che hanno partecipato alle varie sessioni di Enovitis Business