di Giulio Somma
Animatore più che moderatore, giornalista ma anche appassionato produttore di vino, la nota firma del giornalismo stampato (vicedirettore de “Il Giornale”) e televisivo (conduttore di Virus-Il contagio delle idee su Rai 2), Nicola Porro, ha “governato” la tavola rotonda dei presidenti delle associazioni della filiera vitivinicola all’ultimo Vinitaly stimolando un confronto che ha segnato un momento storico nelle vicende dell’interprofessione italiana del vino. Lo abbiamo avvicinato al termine dell’incontro per capire da vicino la “percezione” (del vino italiano, della filiera e del Vinitaly) che si è fatto un giornalista esterno al nostro settore (seppur impegnato come produttore vinicolo) nel corso della sua scorribanda all’ultima fiera veronese.
Partiamo dalla tua storia di viticoltore. Oltre 400 anni di storia familiare in campagna nella Tenuta Rasciatano … Si, è dal 1600 che la famiglia Porro cura e gestisce la tenuta di 300 ettari nello splendido territorio compreso tra Andria, Barletta e Canosa, nel cuore dell’agro murgiano, a metà strada tra il mite clima costiero e il calore temperato delle colline, da cui otteniamo un olio e un vino di assoluta qualità.
Se il cultivar coratina domina l’oliveto di storia secolare, in ambito vitivinicolo, dopo il rinnovamento della cantina avvenuto nel 2005, la nostra politica produttiva ha virato decisamente verso l’eccellenza, vinificando solo le migliori selezioni di uve prodotte nella Tenuta, quali Nero di Troia, Montepulciano, Malvasia e Chardonnay che a Rasciatano hanno trovato dimora felice coniugandosi in maniera naturale con il territorio. Grazie al prezioso supporto del prof. Luigi Moio, enologo di fama internazionale, insieme a mio fratello abbiamo realizzato due linee di prodotto, “Vigne di Rasciatano” e le “Tenute”, che ci stanno dando grandi soddisfazioni anche in termini di premi e riconoscimenti nei concorsi enologici e da parte delle principali guide italiane ai vini.
Che volumi produttivi raggiungete? Con le due etichette di Rasciatano siamo sulle 100 mila bottiglie, cui abbiamo affiancato un’altra iniziativa alla quale tengo molto: una linea, che abbiamo chiamato “Wineit”, realizzata con una azienda specializzata nel catering aereo, con la quale abbiamo appena vinto un appalto per la fornitura di 500 mila bottiglie alla compagnia aerea americana Jetblu Airways, oltre a fornire gli arerei dell’inglese Easyjet in Europa. L’idea che gli americani si portino sulle loro linee aeree il Nero di Troia mi riempie di soddisfazione.
Veniamo adesso, invece, a temi di carattere più generale riguardanti il vino italiano. All’ultimo Vinitaly ti sei trovato immerso – e al centro – della “filiera vitivinicola italiana”, moderando il confronto tra i presidenti delle principali organizzazioni di categoria del nostro settore, coloro cioè che scrivono e interpretano – per conto di migliaia di aziende e di produttori – la “politica vitivinicola del nostro Paese”. Come osservatore esterno, che idea ti sei fatto sul mondo della rappresentanza vinicola italiana? Complicato? Una impressione favorevole, perché vedere tutta la rappresentanza di filiera, dai viticoltori agli industriali ai commercianti del vino, dietro lo stesso tavolo mi ha dato una idea di forza, compattezza, che oggi rappresenta un segno nei confronti della politica molto importante. Perché non si possono pretendere dalla politica passi in avanti se noi ci arriviamo divisi. E un tavolo che, in fondo, ha mandato un messaggio alle istituzioni chiaro, netto e sacrosanto: lasciateci fare il nostro lavoro in pace e cercate di fare le cose nel modo più semplice possibile. Una linea ben rappresentata e intrepretata dal “Testo unico della vite e del vino”.
Insomma, hai percepito che si tratta di una unità di intenti reale e non solo di facciata …. Certo, un fronte comune impegnato su temi concreti con proposte che guardano, oggi, a risolvere i problemi reali degli agricoltori e, domani, a creare prospettive certe al settore.
Guardando invece al mercato del vino, sembra che questo 2015 abbia riaperto le speranze su una crescita dei consumi pure sul mercato interno …. Da produttore dico che coloro i quali dovevano giocarsi la partita all’estero lo hanno fatto, non potevano non farlo, e lo continueranno a fare. Ma il tema è che non si può vivere di solo export. Essendo produttori italiani dobbiamo riprenderci il mercato domestico dove però rimane ancora, grave, il problema dei pagamenti. E’ un incaglio che va assolutamente superato per consentire la ripresa delle vendite nel nostro Paese. In termini di prospettiva non sono in grado di fare previsioni su questo tema. Ma mi rimane una sola certezza: se non si riprende bene il consumo domestico e la certezza dei pagamenti noi continueremo a rimanere sofferenti nonostante si sia fatto tutto il possibile per andare all’estero.
In questa strategia, il Vinitaly rimane un passaggio fondamentale. Cosa pensi della fiera veronese? A mio avviso il Vinitaly corre il rischio di diventare un appuntamento troppo “turistico” e sempre meno una occasione di incontro per il trade. E’ importante che ci siano entrambi gli elementi ma quest’anno ho avuto l’impressione di uno sbilanciamento eccessivo verso la dimensione turistico-ludica a scapito del business. Io ritengo che siano necessari ambedue gli aspetti ma va assolutamente evitato che il primo prevalga sul secondo.