Guerra Israele-Iran, pesanti ricadute anche sull’agroalimentare
L'Italia è tra i Paesi più esposti alla crisi energetica causata dal conflitto scatenato da Israele, l'agroalimentare a è a sua volta tra i settori che rischiano di più
June 19, 2025
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Crisi mediorientale e ricadute globali: riflessi anche sull’agroalimentare
L’escalation mediorientale provocata dall’attacco di Israele all’Iran ha avuto immediate ricadute non solo sulle diplomazie mondiali ma anche sull’economia, con un’onda così lunga da toccare anche l’agroalimentare in virtù della sua dipendenza dalle forniture energetiche. I timori principali riguardano appunto il ruolo di big player dell’Iran nelle forniture di gas e petrolio in modo diretto, tramite produzione interna, e indiretto, tramite il controllo dello Stretto di Hormuz, dove ogni anno transitano oltre 20 milioni di barili di petrolio, circa un terzo del greggio trasportato via mare nel mondo, oltre a gas naturale liquefatto (Gnl) e altre migliaia di beni ovviamente.
I riflessi immediati sui prezzi di gas e petrolio
La mattina dopo l’attacco israeliano sull’Iran i mercati mondiali si sono subito mossi al rialzo, con i prezzi dei beni energetici letteralmente schizzati verso l’alto. Un problema in particolare per la piccola e media impresa europea, alle prese con un periodo di stagnazione e difficoltà di vario tipo. Lo “shock energetico” ha comportato nell’immediato un aumento del 4% del prezzo del gas naturale (€37,60 al megawattora alla Borsa di Amsterdam), dell’8% del Petrolio WTI ($73,48 al barile) e del 7,37% del Brent ($74,47 al barile). Un aumento improvviso che ovviamente colpisce in particolare i Paesi più soggetti all’import energetico, a cominciare dall’Italia, che importa mediamente il 90% de gas naturale e il 95% del petrolio per i propri bisogni annui. Se il conflitto non si dovesse concludere velocemente e quindi prolungarsi per mesi, cosa molto probabile viste le reali motivazioni che hanno spinto Israele ad agire, il Centro studi di Unimpresa ha calcolato che si potrebbe arrivare ad un rincaro medio del 20% delle materie prime energetiche rispetto allo scorso anno con un costo aggiuntivo annuo che supererebbe i 10 miliardi di euro, il 60% del quale andrebbe ad appesantire proprio le Pmi.
L’agroalimentare tra i settori più esposti
Ovviamente i primi settori a pagare gli aumenti sarebbero quelli più direttamente dipendenti dall’utilizzo di energia. Tra questi in cima alla classifica ci sono i trasporti e la logistica, oltre il 30% dei costi totali sono legati all’energia (ma le ricadute ovviamente sono anche su tutti i settori che usufruiscono dei servizi), l’industria pesante e manifatturiera e, sul terzo gradino del podio, l’agroalimentare. Ma il mondo vitivinicolo teme anche per il quarto settore toccato, ovvero chimica (prodotti enologici dunque) e plastica, per il quale secondo alcuni analisti l’effetto del moltiplicarsi dei costi potrebbe avere conseguenze pesantissime. Aumenti anche per vetro e acciaio, quindi bottiglie e macchinari enologici. Una situazione potenzialmente devastante per l’agroalimentare, coinvolto da diversi rincari che andrebbero a sommarsi, cominciando da quelli dei carburanti che potrebbero impattare per circa 100-150.000 euro in una flotta media di 25 camion mentre i rincari per le spedizioni e la logistica marittima e aerea arriverebbero anche al 10%. A livello interno tanti rincari significano sostanzialmente aumento dell’inflazione e, di conseguenza, erosione del potere di acquisto delle famiglie, per arrivare ad una possibile riduzione dei consumi. E questo proprio non ci voleva per il vino italiano, già alle prese con tante difficoltà legate all’export. In attea di vedere cosa succederà nei cieli del Medio Oriente e sperando il Governo possa mettere in atto una strategia difensiva che riesca a smorzare gli effetti dei rincari, il mondo vitivinicolo deve cercare di non perdere l’orientamento e concentrarsi su tattiche di breve e medio periodo per superare il momento e guardare poi ad un futuro che, ormai appare chiaro, sarà totalmente diverso.
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