Il 2014 non passerà alla storia per essere stato un anno di grandi movimenti sul mercato mondiale del vino. Sul fronte dell’imbottigliato, i primi tre mercati – Usa, UK e Germania – mostrano segnali di stanchezza, con crescite molto deboli sul lato valore e ribassi a volume. Londra poi ha scontato nel bilancio finale un inizio dell’anno molto incerto, dovuto alla stretta cinese che he messo in crisi le triangolazioni di vini da Bordeaux. In America, invece, vi è un ritorno verso i vini europei, a scapito non solo degli australiani (che non crescono neanche sullo sfuso), ma anche di cileni e argentini, che dopo anni di grande furore, paiono ora aver perso smalto.
Restando sul continente americano, il Canada sembra essere il mercato più attivo: confermati i trend regolari di crescita, soprattutto grazie alla spinta imposta dalle forniture in partenza dagli Usa. Il Brasile nel corso degli ultimi tre mesi ha recuperato in parte l’inizio dell’anno fiacco, con recuperi anche dei fornitori europei, come l’Italia. I cileni si confermano padroni assoluti di un mercato da cui comunque ci si aspetterebbe di più (tra l’altro il 2014 era l’anno dei Mondiali di calcio, ma nessuno nel wine business pare essersene accorto).
Altro Paese sulla cui crescita si sperava molto è la Russia, ma dopo una buona partenza, nel prosieguo dell’anno hanno incominciato a farsi sentire i venti della crisi. Il bilancio generale è positivo (specie per gli italiani, che per la prima volta hanno scavalcato i francesi), ma potrebbe essere la classica quiete prima della tempesta.
Dall’altra parte del globo, in quell’Asia a cui il settore vino guarda con grandi speranze, bisogna dire che si è chiuso un anno molto complicato. Da una parte la crisi giapponese, con il deprezzamento progressivo dello yen che ha indebolito la capacità di spesa degli importatori, forzati ai salti mortali per tenere – nella migliore delle ipotesi – gli stessi volumi del 2013. Qui vanno egregiamente le cose solo per chi ha qualche vantaggio di natura commerciale, come i cileni, sospinti dalla liberalizzazione degli scambi. In Cina – ma anche a Hong Kong – il vento moralizzatore del nuovo governo ha dato seri grattacapi ai francesi in primis, che dopo una partenza d’anno all’insegna del -30%, hanno via via recuperato, limitando i danni al minimo. Pechino però sta mostrando un nuovo volto, forse meno sorridente, ma più vero e senza infingimenti. Spazzate via le sovrastrutture, il vero mercato – fatto di persone in carne e ossa – si incomincia a delineare con più nettezza. Questo imporrà a tutti, francesi compresi, di mettere in dubbio strategie di vendita ormai consolidate. E a chi è ancora piccolo – come Italia e Spagna – di incominciare a intessere relazioni di lungo periodo con i partner locali.
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Nota: variazioni percentuali annue. Sulla colonna valori, il dato è stato omogeneizzato in US$: per Germania, UK, Svizzera, Giappone, Canada e HK, si è lasciata la variazione annua originale calcolata sulla valuta locale