di Laura Zamprogno
Milano, 21 gennaio. La sede milanese dello studio legale Whiters ha aperto le porte ai responsabili export e ai manager delle principali case vinicole italiane con il seminario “Future trends in the Us and China Wine Markets”. Focus del workshop l’indagine di mercato condotta da Wine Intelligence sulle tendenze dei consumatori in due dei Paesi chiave per l’industria del vino.
A fare gli onori di casa Roberta Crivellaro, managing partner Italia di Whiters, che ha spiegato la mission dello studio impegnato da diversi anni nell’assistere le aziende italiane leader nel food and beverage che vogliono internazionalizzarsi, in particolare per la creazione di corporate joint venture in Usa e nel mondo. Lulie Halstead – AD della società leader in ricerche di mercato e consulenza strategica per l’industria del vino – ha guidato l’incontro e svelato dinamiche e peculiarità dei consumatori in Usa e Cina, Paesi lontani per geografia e cultura ma accomunati dal rappresentare un’unica stimolante sfida per gli imprenditori del settore vinicolo.
Distinguersi nel mercato a stelle e strisce
Se si guarda la classifica dei mercati che va da quelli definiti come “maturi”, caratterizzati da alti volumi e staff strutturato, ai “mercati emergenti”, che crescono vertiginosamente e che implicano alti livelli di rischio e investimenti notevoli (come per la Cina), gli Stati Uniti si collocano a metà strada e vengono classificati come “in crescita”.
Facendo una panoramica sui consumatori, infatti, gli attuali regular drinkers (che consumano vino almeno una volta al mese e che oggi sono il 40% della popolazione over 21) potrebbero infatti salire al 44% nel 2025. Gli stessi stili di consumo stanno cambiando: l’approccio al vino vira verso una maggiore apertura verso le novità, creando in prospettiva negli anni a venire opportunità e spazio anche per i produttori più piccoli e i brand meno conosciuti. Inoltre cresce sempre più il ruolo del web e dei social media negli acquisti. Attualmente a guidare il mercato sono i millennial (24-34 anni) che rappresentano 1/3 dei regular wine drinkers ma se guardiamo all’orizzonte (al 2025) i modelli fanno emergere il nuovo gruppo rappresentato dalla next generation (21-29 anni), target strategico su cui cominciare già oggi a puntare.
Ma oltre i target cosa deve avere un brand per conquistare gli americani? Le parole d’ordine sono autenticità (deve essere credibile), coerenza (deve rispondere alle attese del consumatore), riconoscibilità (deve distinguersi ed essere facile da ricordare), essere “rassicurante” nel design attraverso un prodotto sofisticato. Ma soprattutto il nome del brand deve essere chiaro, facile da pronunciare e avere alle spalle una storia semplice da comunicare. In altre parole quelli che da noi sono elementi che giocano un ruolo importante come elementi di distinzione di un vino come il marchio di origine, l’espressione della regionalità, l’indicazione geografica, qui risultano essere difficili da comprendere e rischiano di aumentare la difficoltà di lettura del prodotto.
In Cina, dove il vino è 2.0 e veste “in rosa”
La seconda tappa del viaggio-incontro alla scoperta dei Paesi strategici per l’export ha toccato la Cina. Qui il mercato non è uno solo ma (almeno) quattro ovvero tanti quanti sono i punti cardinali e le anime che percorrono questo Paese e si rispecchiano nella cultura e nella gastronomia facendo della Cina un mercato particolarmente complesso per chi vuole esportare. Anche se nuove opportunità si sono e si stanno creando per l’universo del vino. A partire dall’adozione nel Paese di politiche anticorruzione che ha creato una rottura negli stili di consumo. Il vino 2.0 di oggi è un vino che si compra in prevalenza per il consumo personale a differenza della tendenza passata di considerare il vino come un prodotto-regalo.
La lunga catena di distribuzione, la spesso scarsa formazione dei soggetti coinvolti, la complessità della lingua e delle leggi, la protezione del brand contro la contraffazione ma anche il sottosviluppo delle infrastrutture locali e il ritmo di vita accelerato della Cina sono alcuni degli ostacoli che si incontrano. Il consumatore cinese tiene in grande considerazione il made in Italy. La scarsa conoscenza del vino in generale tra i consumatori di massa ma anche tra i wine lovers richiede che il brand sia chiaro e riconoscibile. Il vino, status symbol e prodotto da spendere in occasioni speciali, difficilmente si consuma a casa.
La scelta di acquistare vino segue due binari paralleli: una motivazione di tipo razionale (si compra il vino per avere dei benefici positivi sulla salute e sulla bellezza ma anche come alternativa meno alcolica rispetto ai liquori nazionali) ed una di carattere emozionale (il vino è visto come prodotto che crea atmosfera e mezzo per esprimere la propria identità). Il Paese di provenienza resta l’elemento guida nella scelta, che vede la Francia in pole position (57,8 Milioni di litri, 259 milioni di dollari) seguita da Australia e Cile, rispettivamente 19,7 Me 17,9 M in volume, 171 M e 65 M in valore (dati riferiti a gennaio 2015). L’Italia, al quinto posto, resta comunque tra i Paesi produttori che godono di maggiore consapevolezza tra chi beve vino non domestico.
Ad ogni modo le previsioni dei prossimi anni (2022) indicano una crescita di un fattore 5 della classe media cinese con un potere di spesa che incrementerà di 7 volte. Ad avere un impatto sulle dinamiche del mercato del vino (importato) nei prossimi anni sarà infine non solo la maggiore disponibilità economica della classe media ma anche l’affermarsi di nuovi target: giovani, professionisti ma soprattutto donne (queste ultime sono passate dal 32% del 2012 al 47% nel 2015). Tali target nel loro complesso costituiscono una nicchia emergente, i “developing drinkers”.
In Cina il segreto è parlare la stessa lingua
Secondo Wine Intelligence lo scarso livello di fiducia per il vino straniero, il fatto che il prodotto cercato non sia sempre facilmente disponibile e la mancanza di informazioni sono alcuni dei fattoi che ostacolano il rapporto con questo mercato. Tuttavia esistono degli strumenti che aiutano a ridurre le distanze. L’azienda che vuole investire in Cina deve fare riferimento all’universo dei social media e del Mobile commerce, qui dominanti, che i giovani utilizzano come mezzo principale per scambiare informazioni sul vino, per seguire i propri brand preferiti, per condividere argomenti di interesse sul tema con gli amici, ma anche per formarsi, scambiare opinioni e andare a caccia di promozioni.
Infine la lingua è sicuramente un elemento di difficoltà. Occorre fare molta attenzione ai primi passi che si fanno per entrare in questo mercato. A partire dalla registrazione del marchio che deve essere fatta preferibilmente coinvolgendo un’agenzia locale (alcuni dei documenti devono essere compilati obbligatoriamente in cinese). La scelta del nome è un passaggio chiave: deve essere facile da pronunciare e da ricordare e può essere omofonico (il nome si pronuncia come in cinese ma il significato è diverso), letterale (il nome del brand in cinese è la traduzione di quello in lingua originale), simbolico (il nome del brand in cinese richiama il significato, l’idea di quello originale).
Se l’etichetta frontale è il biglietto da visita del prodotto e ne trasmette il carattere (eclettico, prestigioso, moderno, tradizionale) la back label dovrebbe contenere informazioni utili a guidare il consumatore nella degustazione (specie in un Paese in cui si fa molta attenzione alla scelta dell’associazione tra cibi e sapori). È utile fornire anche una descrizione sensoriale del prodotto in modo attingendo dagli aggettivi più utilizzati dai consumatori cinesi per descrivere i loro vini preferiti in modo da renderlo maggiormente comprensibile ai canoni nazionali.
Da Zonin due esempi di successo
Per passare dalla teoria alla pratica due aziende leader del panorama del vino italiano hanno condiviso la loro esperienza. Portavoce dell’azienda Zonin l’head sales e marketing Giuseppe Di Gioia. Oggi l’azienda è presente in Usa con uno staff di 39 impiegati, 50 distributori e 2 broker e ha registrato dal 2011 al 2015 un +33% nelle vendite. “Con il vino Moscato Castello del Poggio l’azienda ha dimostrato come può essere possibile creare nuove opportunità di consumo seguendo una strategia orientata allo studio, all’analisi, alla ricerca del prodotto con una visione a lungo termine – ha spiegato Di Gioia. – Attraverso la partnership con il gruppo Olive Garden il vino è oggi proposto in tutti i ristoranti della catena come ingrediente protagonista anche di un’ampia offerta di cocktails”. Altra storia di successo la campagna dedicata al Prosecco con la quale Zonin ha voluto comunicare non un semplice prodotto ma un vero e proprio life style. La campagna dal titolo “Prosecco in your life” ha coinvolto direttamente i consumatori statunitensi sui social media, per immortalare e condividere momenti di vita quotidiana che hanno il vino come protagonista. Inoltre l’iniziativa ha toccato anche altri canali – con testimonial d’eccezione Francesco Zonin –come le riviste di settore e la televisione con l’iniziativa del contest televisivo “From Italy with love” . In Cina invece Zonin ha concentrato gli sforzi per tracciare il profilo dei futuri wine drinkers. Con interviste a importatori, distributori, retailer ma anche opinion leader, giornalisti, wine blogger, focus group e stage qualitativi mediante test su differenti tipologie di vino e abbinamenti con il cibo. E facendo molta attenzione al nome del brand su cui si gioca la disponibilità a comprare il prodotto. Sono nati così “Weilu” (Velluto), primo prodotto lanciato sul mercato cinese, un vino corredato da un’etichetta 3D che facilita l’interazione con il consumatore invitato a “toccare e sentire” la bottiglia prima ancora di degustarla. E “YiLian” (Primo Amore) un social drink per “social newbies” lanciato sulla piattaforma cinese Qzone.
La strategia di Caviro
In qualità di portavoce di Caviro ha parlato Benedetta Conti, export and marketing manager dell’azienda. Per la Cina l’offerta di prodotti si ispira alla riconoscibilità della storia e della cultura italiana con i brand Da Vinci e Leonardo per il segmento premium e Tavernello e Monnalisa per il segmento daily. Al centro della strategia adottata la formazione dei propri partner commerciali, la scelta di dirigere da vicino importatori e distributori, l’organizzazione di eventi dedicati e la creazione di una fitta rete di contatti ma anche la possibilità di fornire un supporto linguistico, legale e commerciale e sovrintendere al corretto utilizzo degli investimenti.
Diverso invece l’approccio al mercato a stelle e strisce, un mercato molto costoso come ha sottolineato Benedetta Conti che assorbe grandi quantità di investimenti in particolare nello sviluppo del brand. E dove oggi le performance del vino made in Italy trovano espressione in poche tipologie, Prosecco, Chianti, Brunello, Barolo, Amarone. Qui Caviro ha scelto di presentarsi con i brand Da Vinci, Cesari e Tavernello, focalizzandosi su aree strategiche e con un’équipe composta da un manager dedicato per Paese, un brand ambassador e un trade marketing manager. L’enorme disponibilità di brand nei portfolio degli importatori fa degli Usa un mercato altamente competitivo. La variegata costellazione di leggi e regolamenti diversi nei 50 Stati contribuisce a rendere il tutto ancora più complesso. Anche se il vino tricolore ha dalla sua un biglietto da visita d’eccezione altamente riconosciuto in tutto il mondo: l’italian lifestyle.