La stabilità tartarica è uno snodo tecnico che ogni cantina affronta, spesso dando per scontato un equilibrio che invece richiede scelte ponderate, conoscenza dei materiali e attenzione crescente alle norme. Nel suo articolo pubblicato su Il Corriere Vinicolo n. 36 – Cantina, Pietro Russo – enologo e Master of Wine – propone una lettura ampia e rigorosa del tema, andando oltre la consueta distinzione fra tecniche tradizionali e approcci innovativi.
Lo studio condotto in Sicilia e presentato da Russo offre infatti un quadro aggiornato delle quattro principali strategie oggi adottate: stabilizzazione a freddo, poliaspartato di potassio (KPA), elettrodialisi (ED) e carbossimetilcellulosa (CMC). Un confronto non solo tecnico, ma anche economico e normativo, che mostra come nessun metodo sia universale: ogni scelta dipende dal vitigno, dalla dimensione aziendale, dagli obiettivi di qualità e, oggi più che mai, dagli obblighi di etichettatura introdotti dal Regolamento europeo 2021/2117.
Il caso studio su Grillo e Nero d’Avola, condotto in cantina su scala reale, evidenzia comportamenti diversi fra bianchi e rossi, con il KPA particolarmente efficace sul Grillo e con ED e KPA performanti sul Nero d’Avola, mentre il freddo conferma affidabilità e costi elevati. Non mancano riflessioni critiche: l’elettrodialisi riduce i metalli, ma richiede investimenti; gli additivi devono essere dichiarati in etichetta; la tradizione del freddo paga dazio ai consumi energetici; la CMC risulta meno incisiva a parità di dosaggio.
Accanto ai dati sperimentali, Russo integra le percezioni delle cantine siciliane, restituendo una fotografia preziosa delle pratiche reali: il freddo domina, mentre le tecniche più recenti faticano a diffondersi, frenate da costi, vincoli normativi e timori legati alla trasparenza.