Di Adriano Del Fabro
Da sempre, il tappo rappresenta una questione aperta per l’enologo, il sommelier e il consumatore. Può capitare, infatti, che un buon vino diventi grande affinandosi in bottiglia per vari anni godendo dell’evoluzione naturale che un tappo perfetto (per lui) gli consente. Può pure accadere il contrario e, cioè, che un grande vino venga irrimediabilmente rovinato in una bottiglia chiusa con un tappo sbagliato (per lui), difettoso, oppure mal conservata o, ancora, per svariate altre cause delle quali, il tappo, è solo parzialmente complice.
Assoenologi del Fvg (presieduta da Rodolfo Rizzi), in occasione di AgiestLand, manifestazione fieristica udinese appena conclusa, ha voluto approfondire le questioni legate alle varie tappature attraverso un convegno dal titolo: “I punti critici nell’evoluzione del vino in bottiglia”.
La prima relazione tecnica è stata affidata a Piergiorgio Comuzzo, dell’Università di Udine, che ha esposto, in particolare, le osservazioni salienti relative al rapporto tra vino e ossigeno, durante la maturazione in bottiglia. Premesso che fu Luigi Pasteur a dimostrare, per primo, l’importanza dell’azione dell’ossigeno nell’evoluzione del vino, successivamente si è capito che i processi ossidativi sono pure favoriti dalle sostanze fenoliche e dalla presenza del ferro e del rame. Ma i processi ossidativi non devono essere aboliti del tutto, bensì correttamente governati. Comuzzo ha illustrato, perciò, le azioni antiossidanti dell’anidride solforosa (capace pure di controllare l’imbrunimento del vino), dell’acido ascorbico (il quale, se non sapientemente dosato, può provocare la produzione di acqua ossigenata) e del glutatione, che può provocare imbrunimento.
“L’influenza del sistema di chiusura delle bottiglie” è stato il tema indagato successivamente da Franco Battistutta, tecnologo alimentare dell’Università di Udine secondo il quale, prima di pensare a quale tappatura utilizzare, serve avere in testa un progetto enologico. Infatti: ogni vino ha il suo optimum di assorbimento di ossigeno e, pure, il suo tempo di assorbimento ottimale. Alcune esperienze sperimentali hanno confermato questo approccio.
Nel Pinot grigio, l’uso dei tappi sintetici, maggiormente permeabili, consente la riduzione dell’aggiunta di anidride solforosa. In seguito alle misurazioni analitiche e all’analisi sensoriale, si evidenzia che il vino chiuso con il tappo sintetico è migliore di quello chiuso con il sughero fino a 12 mesi. La situazione si capovolge se la degustazione viene fatta a 24 mesi di distanza dall’imbottigliamento.
Per un Valpolicella (rosso), la migliore tappatura a 6 mesi è risultata quella con il sintetico; a 12 mesi, i migliori risultati li ha dati il tappo di sughero a bassa densità.
In conclusione, ha detto Battistutta, la tappatura è una pratica tutt’altro che neutrale nell’evoluzione del vino poiché, è certo, essa influenza le qualità organolettiche del prodotto imbottigliato.