Il countdown è cominciato ormai da tempo. La fatidica data del 31 luglio 2012 si avvicina a grandi passi, e salvo improbabili inversioni di rotta e mutamenti a livello di politiche comunitarie, importanti riflessi si potranno registrare sulla produzione vitivinicola italiana. A partire da quella data infatti la riforma Ocm prevede il taglio dei contributi concessi per l’arricchimento con mosto concentrato e ancora oggi ci si interroga su che cosa potrà succedere.
Di sicuro vi è un dato: in assenza di contributi, la richiesta da parte delle case vinicole verrà ridimensionata, per ritornare a un acquisto di quantitativi strettamente necessari per correggere vini che hanno davvero bisogno di alzare il titolo alcolometrico.
Di incerto invece vi è l’impatto che questo ridimensionamento avrà sulle filiere costruite per produrre uva da destinare a Mc e Mcr e non alla vinificazione tout-court: ovvero, per la maggior parte Sicilia e Puglia. Qui operano cooperative che a cavallo tra vecchia e nuova Ocm hanno vissuto di sussidi (mosti appunto, ma poi distillazioni, stoccaggi). A poco a poco, tolti i fondi, il sistema ha cominciato ad andare in crisi, complici negli ultimi tre anni le misure di contenimento della produzione, come estirpazioni e vendemmie verdi che proprio in Sicilia hanno portato la scorsa campagna a riduzioni importanti del potenziale, con ulteriore aggravio sul sistema cooperativo locale che a stento riesce a coprire i costi di produzione. Se aggiungiamo la cattiva annata 2011 dal punto di vista climatico, la stretta creditizia operata dalle banche, che sta rendendo più difficile acquisire i fondi per anticipare le liquidazioni ai soci conferitori, e infine la prospettiva di vedersi ridurre anche l’ultimo mercato “protetto”, quello dei mosti concentrati, la situazione potrebbe diventare esplosiva.
“Rispetto agli anni scorsi sono mutate le condizioni, si registra infatti una minore produzione di uva ma con una qualità maggiore in Sicilia, di conseguenza si produce meno mosto rispetto al passato – sottolinea Fabio Foraci, direttore tecnico dell’azienda agricola Cantine Foraci di Mazara del Vallo, specializzata nella produzione di mosti – quando cesseranno gli aiuti l’uso del mosto concentrato si sarà indirizzato anche verso altri settori e, in ogni caso, ritengo che chi ha e avrà bisogno anche in futuro del mosto per garantire la gradazione alcolica non può e non potrà farne a meno in determinate annate. Gli impianti si adegueranno alla nuova domanda. Peraltro, proseguirà la conversione, già in itinere, del succo d’uva per uso da tavola e alimentare e zucchero d’uva naturale: il mosto, insomma, trova e troverà nuovi sbocchi commerciali”.
La desolforazione, una pratica che prende piede
Le cantine produttrici di mosti destinati al concentrato potrebbero avere un’altra chance, che inciderebbe relativamente sui propri processi industriali: ricorrere alla pratica della desolforazione del mosto muto per produrre vino. “Alcune aziende, in particolari annate come quella attuale, hanno utilizzato questa pratica per ottenere vino – dice infatti Foraci – io concordo con questa linea di azione se conveniente dal punto di vista economico: il costo di desolforazione e di trasporto non è bassissimo, inoltre, in genere, non si ottiene un vino di grande qualità ma solitamente destinato alla distillazione oppure, nel migliore dei casi, ad essere tagliato con prodotto migliore. Senza considerare il termine ultimo per le fermentazioni. Non escludo, comunque, che a fronte di uno scenario quale quello attuale numerosi produttori potranno indirizzare la propria attività verso il mercato del vino, magari attirati dall’aumento dei prezzi”.
Che cosa succederà quest’anno
Fermentato subito o mutizzato per essere fermentato più in là nel tempo, dalla prossima vendemmia la prospettiva più lineare per la cooperazione potrebbe essere proprio questa: manca prodotto, ci sono 700.000-800.000 ettolitri potenziali di mosti che in parte potrebbero non trovare mercato come concentrato, perché non portarli sul circuito vino?
In attesa di arrivare a settembre, in Sicilia si incomincia a fare i conti intanto sulla prossima vendemmia verde, ritenuta una delle variabili responsabili di aver dato la mazzata finale alla cooperazione. Dopo un lungo tira e molla, cooperazione e organizzazioni professionali hanno raggiunto una sorta di compromesso, ovvero un tetto massimo allo stanziamento di 5 milioni, equivalenti a un’ipotesi di 4.000 ettari (l’anno scorso si arrivò a 14.000 circa per una spesa di 23 milioni di euro).
Che la vendemmia verde dovesse essere riportata nei ranghi è una necessità sentita dalla LegaCoop, il cui responsabile regionale amplia il discorso alla situazione pesante determinatasi in Sicilia per la cooperazione dopo tre anni di espianti, vendemmie verdi e – ultimo – riduzione produttiva dovuta a maltempo. Se è vero che i prezzi si sono alzati, è altrettanto vero che questi da soli non possono compensare carenze di materia prima arrivate anche al 30-40%. “C’erano gli estremi per chiedere la calamità naturale l’anno scorso – dice Giuseppe Gullo – abbiamo avuto un incontro col ministro Romano a cui non è stato dato seguito, adesso il ministro Catania ci dice che le cooperative devono stare in piedi sulle loro gambe, ma mi chiedo: è possibile che nessuno voglia capire che processi di riconversione per queste strutture non si possono fare dalla sera alla mattina? Stiamo proseguendo con il progetto di aggregazione Csr (Cantine siciliane riunite), che prevede la messa a sistema di una decina di cantine cooperative, ma questa mazzata della campagna scorsa rischia di darci il colpo finale. Non possiamo chiedere ai soci ulteriori aumenti di capitale, i soldi non ci sono, le banche non finanziano. Questo – prosegue Gullo – non significa che vogliamo essere assistiti, ma che a livello politico si faccia distinzione tra chi sta cercando con ogni sforzo di mettersi su una traiettoria virtuosa e chi invece continua a lavorare senza progetto”.
“La situazione è indubbiamente critica – aggiunge Pino Ortolano di Confcooperative Sicilia –ma la selezione è inevitabile, le piccole cantine, gli opifici in ogni comune non si giustificano più. Quindi, da una parte è salutare ridurre il numero delle cooperative, e rendere quelle che rimangono competitive, sia sul fronte della produzione del mosto concentrato, il cui mercato credo rimanga vitale anche dopo la fine degli aiuti, sia del vino”.
La chiusura a Sergio Dagnino, direttore generale di Caviro, che afferma laconico: “Si perderanno cantine in Sicilia, non v’è dubbio, il problema è che questa selezione darwiniana sarà fatta non per qualità, ma per quantità, e non è detto che chi produce di più sia anche quello che produce meglio. Ma questo è un discorso che si può estendere anche alla Puglia, dove la filiera del mosto è tutt’altro che trasparente”.
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