Se dovesse entrare in vigore dalla vendemmia 2012, sarebbe il caos. Il settore vino – ma in questa sorte è accomunato dalla stragrande maggioranza dell’agroalimentare – non è attrezzato per reggere l’impatto di una norma – l’articolo 62 – così come è stata formulata e confermata nella sua interezza dal decreto applicativo che ormai è in dirittura d’arrivo.
Su questo giornale abbiamo più volte plaudito alla bontà delle disposizioni previste nel decreto cosiddetto “liberalizzazioni”, il cui scopo primo è fare pulizia all’interno della giungla delle transazioni commerciali, specie sul fronte distribuzione. Ma in questi mesi di attesa del decreto di applicazione si era sperato non tanto in un ammorbidimento delle norme, quanto in una loro applicazione scaglionata e ragionata, in modo da avere una partenza soft.
Una norma criptica
Invece nel testo diffuso nei giorni scorsi, e che per entrare in vigore deve solo passare il vaglio del Consiglio di Stato, la partenza è confermata al 24 ottobre di quest’anno, con una serie di distinguo che più che creare tranquillità stanno agitando gli uffici legislativi di mezza Italia.
Questo il testo dell’articolo 8, recante le modalità di entrata in vigore, i corsivi nel testo sono nostri. “1. Il presente decreto si applica a tutti i contratti di cessione di cui all’articolo 62, comma 1, del dl 24 gennaio 2012, n. 1, stipulati a decorrere dal 24 ottobre 2012.
2. I contratti già in essere alla data del 24 ottobre 2012, in relazione ai soli requisiti di cui al comma 1 dell’art. 62 del dl 24 gennaio 2012, n. 1 (forma scritta, indicazione del prezzo ecc.), devono essere adeguati non oltre la data del 31 dicembre 2012; per i contratti stipulati in presenza di norme comunitarie da cui discendono termini per la stipula dei contratti stessi, precedenti al 24 ottobre 2012, essi devono essere adeguati per la campagna agricola successiva. Le disposizioni di cui ai commi 2 (pratiche sleali) e 3 (termini di pagamento) del predetto articolo 62 si applicano automaticamente a tutti i contratti a partire dal 24 ottobre 2012, anche in assenza di adeguamenti contrattuali alla predetta normativa”.
Per come è scritto, si fatica a capire a chi tocca partire da subito e chi avrà una proroga per la prossima campagna agricola, e soprattutto in che tempi adeguare i contratti già in essere per quanto riguarda i termini di pagamento: ci si adegua tutti a partire dai contratti stipulati a partire dal 24 ottobre oppure si applica retroattivamente anche a quelli già stipulati? Probabilmente, interpretando il comma 2 come relativo ai soli contratti in essere, è vera questa seconda ipotesi, ovvero che tutti i contratti debbano essere adeguati, per quanto riguarda i termini di pagamento, a partire dal 24 ottobre, anche se non è dovuto l’adeguamento della forma scritta e dell’indicazione del prezzo (che può esser fatto invece entro il 31 dicembre).
Resta da capire come assolvere questi obblighi nella pratica: dal 24 ottobre, tutte le fatture con più di 30 giorni sono già da saldare in blocco? Ci si dovranno pagare sopra pure gli interessi in caso si sia già andati oltre i 30 giorni (caso verosimile, se ritiro l’uva ad agosto)?
Al di là di questo guazzabuglio legislativo, che va risolto in fretta avendo la stagione vendemmiale alle porte, il decreto è rimasto sordo alle istanze sollevate dalle varie filiere nel corso dell’incontro con i due ministeri di cui abbiamo dato conto su questo giornale. Ma dopotutto lo aveva detto chiaramente Giuseppe Serino: la norma non si cambia. Ma qui il punto è ben altro: nessuno ha mai chiesto di cambiare l’impalcatura della legge, semmai di identificare i punti sensibili comuni e cercare di armonizzare le pratiche, soprattutto spostando l’entrata in vigore di tutte le norme dell’articolo 62 almeno all’anno prossimo. Questo non è stato, ma non è detto che non si possa tornare indietro e correggere in corso d’opera. Ci permettiamo di dare qualche suggerimento.
Cooperative e privati
Primo: sgombriamo intanto il campo da un elemento. Il decreto applicativo sancisce che la norma non si applica ai conferimenti dei soci alle cooperative: stupiremo qualcuno, ma noi diciamo che la norma è sacrosanta, sebbene non a tutti sia ancora andata giù (Federvini per esempio ha dato battaglia già da aprile, annusando nell’aria che si sarebbe arrivati all’esclusione delle sociali). E sebbene si potrebbe sostenere che in presenza di assoggettamento a Iva non si può parlare di “conferimento”, quanto di cessione. Ma tant’è, il rapporto che lega un socio alla sua cooperativa (con conferimento obbligatorio, peraltro) non può essere assimilato al libero rapporto instaurato tra due privati – viticoltore e azienda – che decidono di instaurare una relazione commerciale.
L’ipotesi rateazione
Secondo: ammesso questo principio, nessuno può negare che dalla vendemmia 2012 le aziende private si troveranno a dover adeguare le proprie dinamiche d’acquisto dell’uva: forma scritta, pagamento a 30 giorni, senza possibilità di discutere, nemmeno se il viticoltore fosse d’accordo nel concedere proroghe, perché il momento di emissione della fattura fa da spartiacque per la conta dei giorni. Il primo e più grosso problema – lamentano le organizzazioni di categoria, Federvini e Unione Italiana Vini in testa – sta oggi proprio sul fronte produzione, il primo a subire l’impatto di questa norma poco chiara, e quello più impreparato e che rischia di subire – vista l’esenzione applicata ai soci delle cooperative – le conseguenze più severe.
La direttiva europea a cui si adegua la norma italiana (n. 7/2011) all’articolo 5 recita: “La presente direttiva non pregiudica la facoltà delle parti di concordare, fatte salve le pertinenti disposizioni della normativa nazionale applicabile, termini di pagamento che prevedano il versamento a rate. In tali casi, qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi e il risarcimento previsti dalla presente direttiva sono calcolati esclusivamente sulla base degli importi scaduti”. Nel decreto italiano la rateazione non è stata prevista espressamente, si fa riferimento a un generico “modalità di pagamento”: che dice tutto e niente.
Qui c’è l’occasione preziosa di inserire per i privati – per le transazioni di prodotti freschi da trasformazione, come l’uva –una modalità di compravendita che è assimilabile a quella delle cooperative: ovvero, il pagamento dilazionato con saldo finale, che – nei casi più evoluti – può anche essere parametrato in base all’andamento di mercato. Non si stravolge nulla, perché oggi in gran parte d’Italia funziona così, e soprattutto s’incentiva un rapporto sempre più fiduciario e virtuoso tra acquirente e compratore, smorzando anche fenomeni speculativi.
Alle perplessità di come valutare la differenza tra acconto e saldo, si può rispondere mutuando quello che fanno i francesi per le transazioni dello sfuso: utilizzare un benchmark dei prezzi medi elaborato dall’ente statale FranceAgrimer. L’Ismea fornisce ogni anno i prezzi dell’uva al Mipaaf per singole piazze, quello potrebbe fungere da benchmark, e ove fossero carenti i dati, si integrerebbero con i listini delle Camere di commercio.
Partenza scaglionata
Terzo: ancora la direttiva europea, che prevede che gli Stati membri abbiano a disposizione il termine ultimo del 31 marzo 2013 per dare completa attuazione ai dispositivi in essa contenuti. Perché non prendere in considerazione, come sollecitato dalle organizzazioni industriali, questa finestra, peraltro lecita, che consentirebbe di saltare il momento topico non solo della vendemmia, ma anche quello delle transazioni commerciali dello sfuso da fine raccolta a fine anno e dare la possibilità agli imbottigliatori di concentrarsi sui movimenti del mercato? Se dovessimo avere una vendemmia come quella dell’anno scorso, quando nessuno si azzardava a fare i prezzi, che cosa succederebbe oggi? Da fine anno a marzo invece il mercato dello sfuso sarebbe già più chiaro, e gli imbottigliatori potrebbero dedicarsi con più serenità al fronte distribuzione (che – per inciso – ha già messo le mani avanti chiedendo a numerosi imbottigliatori importanti sconti sulle forniture per la prossima campagna). Pretendere l’entrata in vigore da ottobre, invece, con l’incertezza se adeguare anche i contratti stipulati prima, rischia di mettere la parte privata tra due fuochi: sbagliare volumi e prezzi d’acquisto dello sfuso, per lo più con contratti blindati e da onorare in 60 giorni, e andar fuori mercato rispetto alle centrali d’acquisto.
Alla luce poi dell’esperienza fatta in questo pezzo di filiera, la partenza della legge sulla parte uva nella vendemmia 2013 sarebbe meno traumatica, avendo avuto un rodaggio sullo sfuso e sull’imbottigliato.
Conclusioni
Ci rendiamo conto che il ministro – in scadenza nella primavera 2013 – abbia la necessità di fare entrare in vigore la norma al più presto possibile, in modo da non lasciare il lavoro a metà strada. Ma conosciamo Mario Catania per essere persona sensibile ai problemi dell’agroalimentare e del vino in particolare, di cui ha dato prova di essere profondo conoscitore. Ritiene che per dare certezze a questo settore lo si debba far passare sempre e comunque per le forche caudine di una norma che creerà infiniti problemi? Forse lo stesso risultato lo si può ottenere viaggiando per una via più comoda. Per tutti.