Non c’è Cina che tenga. Perlomeno oggi. Chi è alla ricerca di un porto sicuro non ha altro da fare che guardare a occidente, puntare dritto verso l’Atlantico e sbarcare da qualche parte sulla costa. Lì si apre un mercato che continua a sorprendere, con numeri straordinari se li si mette dentro il contesto di una crisi internazionale che sta mietendo panico ovunque. Insomma, nell’anno di grazia 2011 gli Stati Uniti polverizzano ogni record in fatto di importazioni, sfondando per la prima volta la soglia dei 10 milioni di ettolitri per una spesa di 4,8 miliardi di dollari.
E’ definitivamente alle spalle il periodo in cui ci eravamo interrogati (era il 2009) se gli americani sarebbero stati i primi a pagare la batosta finanziaria che avevano generato loro stessi. Ma dopo un biennio di pericolosi tentennamenti, e un 2010 che aveva lasciato presagire che le cose si stavano rimettendo per il verso giusto, oggi possiamo affermare con quasi matematica certezza che questo mercato è un pozzo di San Patrizio: inesauribile, incontentabile, assolutamente innamorato del vino. Poi ci si possono mettere tutte le difficoltà legate all’accesso e alla penetrazione all’interno, lo strapotere della lobby dei distributori, le diverse regole che sovrintendono la vendita di alcol nei vari Stati, le fluttuazioni del dollaro. Ma non essere qui, o non tentare a ogni costo di esserci, per un imprenditore del vino con qualche ambizione, è l’autogol più clamoroso.
Ritorniamo ai dati, per dire che quei 10 milioni di ettolitri da record (+8% rispetto al 2010) sono composti da altrettanti mini-record: i 7 milioni di ettolitri di vino in bottiglia (+3%), pagati 3,8 miliardi di dollari (+10%). I quasi 700.000 ettolitri di spumante (+23%), pagati 785 milioni di dollari (+26%). E i 2,3 milioni di ettolitri di vino sopra i 2 litri o sfuso (+25%), pagati 247 milioni di dollari, ovvero il 45% in più del 2010. Una sbornia totale, di cui l’Italia è stata uno dei capofila assoluti, avendo inviato oltre 2,4 milioni di ettolitri (+12%) per un assegno di 1,3 miliardi di dollari (+16%). Due voci, manco a dirlo, da record. E anche la colonnina dei prezzi medi, salita del 4% a 5,31 dollari al litro, dice che i nostri vini in bottiglia non se la passano poi male, piazzati terzi dietro francesi (9,60 dollari) e neozelandesi (7,42). Oggi, oltre un terzo del vino importato in bottiglia in America ha la targa italiana, e in tre anni la cosa è andata crescendo di 3 punti.
Sul Corriere Vinicolo n. 9 un’ampia disamina dell’andamento delle importazioni e delle vendite nel canale off-premise
Fonte: elaborazioni Corriere Vinicolo su dati Dipartimento Commercio Usa