Che la spumantistica italiana abbia raggiunto straordinari risultati lo abbiamo più volte sottolineato (leggi). A guardare però dove i nostri vini con le bolle fanno i maggiori affari, emerge una certa criticità, data dall’iperconcentrazione della domanda, soprattutto per il prodotto Dop (leggi Prosecco) e Igp.
I primi cinque mercati di esportazione per le bollicine con marchio a denominazione, dove il Prosecco gioca ruolo da primattore, fanno infatti il 73% del totale: nell’ordine UK, Usa, Germania, Svizzera e Austria, che cumulano un valore di 366 milioni su un totale export di 504. Situazione simile per gli Igp: Svezia (primo mercato), Germania, Usa, Danimarca e UK fanno il 69% del totale.
Meno problemi di concentrazione per l’Asti, che trova nei primi cinque mercati “solo” la metà dei suoi sbocchi: nell’ordine, Germania, la problematica Russia, Usa, UK e Austria, che cubano 75 milioni su un totale di 158. Sulla stessa lunghezza d’onda gli spumanti senza denominazione e varietali: su un totale fatturato di 139 milioni, circa la metà viene destinata a Usa, Germania, UK, Russia e Giappone.
Se allarghiamo il portafoglio ai primi 10 mercati, la situazione per le bolle a Dop e Igp diventa acora più concentrata, nell’ordine dell’80 e passa per cento: per i Dop, abbiamo nell’ordine Belgio, Svezia, Canada, Norvegia e Russia, mentre per gli Igp fa capolino al nono posto la Cina, con 460.000 euro di fatturato e un peso sul totale del 3%.
Meno problematica si conferma la situazione dell’Asti, la cui concentrazione nei primi dieci Paesi sale si tiene sotto al 60%, a dimostrazione di una maggiore vastità dei pubblici di riferimento.
I varietali/comuni invece nei primi dieci mercati fanno il 70%, e anche qui fa capolino il mercato cinese, al 7° posto, con 6,5 milioni di euro e un peso del 5% sul totale. Per Asti e Prosecco la Cina è ancora relegata nella parte bassa della classifica: 15° posto per le bollicine piemontesi (1% scarso di peso) e 10° per il Prosecco (stessa quota, ma valore a 3,9 milioni di euro).