Un valore più che raddoppiato nel giro di poco più di dieci anni, che li ha portati a pesare per l’8% sul totale export di vino italiano in bottiglia. Ma anche un allargamento delle piazze su cui sono oggi presenti in maniera consolidata e massiccia: nel 2000 più della metà delle spedizioni aveva destinazione Germania, mentre oggi Berlino pesa “solo” per il 36%, segno che altri Paesi sono diventati sempre più ricettivi a questa tipologia di vino.
Stiamo parlando di vini frizzanti, un patrimonio quasi esclusivo del nostro Paese, sia per i volumi prodotti che per la varietà, e che porta il nome di vini che hanno fatto e stanno tuttora facendo la storia dell’enologia italiana: Lambrusco, Prosecco, Bonarda, Gutturnio, le versioni frizzanti e vivaci della Barbera. E i nuovi piccoli grandi fenomeni, come il Pignoletto bolognese, l’Ortrugo piacentino, vitigno diventato recentemente Doc a sé (un caso più unico che raro), per finire con la schiera delle Malvasie emiliane o i Verduzzi del Triveneto.
A certificare che il prodotto frizzante “tira”, come sempre, sono i numeri: un export che vale 365 milioni di euro per 1,7 milioni di ettolitri. Il 2013 certifica una certa stabilità a valori, dopo una cavalcata ininterrotta dal 2000 al 2009, seguita da una leggera flessione nel primo anno vero di crisi internazionale (2010), per ripartire a razzo l’anno seguente. Stessa musica sul lato volumi, dove tra l’altro gli ultimi due anni scontano un calo che ha accomunato anche i vini fermi in bottiglia, causa vendemmie scarse, e il fatto che molti produttori, specie in zona Prosecco, hanno dirottato molto prodotto verso il più redditizio spumante.
Questa grande spinta alla frizzantatura (e in generale a far rifermentare) ha cambiato negli anni anche la composizione delle nostre esportazioni in bottiglia: tutti e tre i segmenti – fermi, spumanti e frizzanti – crescono, ma cambiano i pesi percentuali. Nel 2000, i vini fermi rappresentavano oltre l’80% del volume venduto sui mercati internazionali, mentre i frizanti stavano al 10%. Tredici anni dopo, sotto la spinta propulsiva dell’universo con le bollicine, i frizzanti si portano al 12% e gli spumanti al 15%, portando via bel 9 punti percentuali ai vini fermi. Identica la musica sul lato dei valori: nel 2000 i vini fermi stavano all’85%, 13 anni dopo scendono al 76%, con i frizzanti che passano quota 8% (+2 punti circa) e gli spumanti al 16%, quota praticamente raddoppiata.
I mercati
Nel 2000, più della metà del fatturato della categoria proveniva da un solo Paese: Germania. Se a questa aggiungiamo gli Usa, dove ai tempi spopolava il solo Lambrusco, si arriva al 70% del totale, con prezzi attorno agli 1,60 e 1,35 euro al litro rispettivamente. Tredici anni dopo, pur essendo ancora Berlino e Washington le principali destinazioni, i loro pesi sono nettamente ridotti: globalmente fanno il 53%, dovuti al ridimensionamento della Germania, scesa attorno al 36%, mentre il peso degli Usa è cresciuto di un punto (17%), cambiando nel frattempo anche la composizione degli acquisti: al Lambrusco, che resta comunque al top, si è aggiunto gradualmente il Prosecco, e la cosa si nota anche sui prezzi di vendita.
Tra 2000 e 2013, quindi, il ventaglio mercati dei vini frizzanti è stato ampiamente diversificato, con l’ingresso di nuovi Paesi, con portafogli potenzialmente più ricchi rispetto a quello tedesco. Questo ha sicuramente contribuito a rendere la categoria più “solida” dal punto di vista industriale, ma anche a diversificare l’offerta delle stesse aziende/territori. Tra i Paesi in forte crescita, dopo una fiammata spagnola, annoveriamo oggi Russia e Cina, dove stanno spopolando il Lambrusco e (specie a Pechino e Shanghai) il Prosecco.
Sul Corriere Vinicolo del 19 maggio pubblicheremo uno speciale Focus dedicato ai frizzanti italiani: performance in Italia e all’estero e le interviste ai Consorzi delle principali Dop.